Appendice intestinale coinvolta nel Parkinson?
Fonte di alfa-sinucleina patologica, la sua rimozione potrebbe ridurre il rischio. Forse, ma lo studio ha importanti limiti.
Un gruppo di ricercatori a livello internazionale (paesi: Canada, Francia, Svezia, USA) ha effettuato una serie di ricerche sull’appendice vermiforme dell’intestino crasso per valutare se è coinvolto nello sviluppo della malattia di Parkinson.
Le prime ricerche sono state epidemiologiche. Una prima ricerca è consistita nella consultazione dei dati sanitari di 1.698.000 soggetti svedesi seguiti per 52 anni. Complessivamente, 551.647 erano stati sottoposti ad appendicectomia e 2252 hanno sviluppato la malattia di Parkinson. I soggetti sottoposti ad appendicectomia presentavano un rischio significativamente inferiore di sviluppare la malattia di quasi il 20% e tendevano ad ammalarsi più tardi. Questi risultati sono stati confermati in un secondo studio epidemiologico internazionale. Nello studio svedese i soggetti sono stati suddivisi in persone che abitavano in campagna ed in città ed è emerso che il rischio veniva ridotto solo tra coloro che abitavano in campagna (rischio ridotto del 25,4%). Inoltre, l’appendicectomia non offriva protezione nei soggetti con mutazioni genetiche associate al Parkinson. Questi rilievi suggeriscono che l’appendicectomia riduca il rischio solo in soggetti esposti a fattori di rischio ambientali per la malattia, come i pesticidi usati in campagna.
Le ricerche successive sono consistite nell’esame del tessuto dell’appendice rimossa in soggetti sia sani che affetti da malattia di Parkinson di tutte le età. È emerso che le cellule nervose dell’appendice presentavano livelli elevati di aggregati della proteina alfa-sinucleina simili a quelli che si accumulano nei neuroni dopaminergici nel cervello dei malati di Parkinson a tutte le età, indipendentemente dall’entità del processo infiammatorio.
Gli autori ipotizzano che l’appendice vermiforme dell’intestino crasso possa rappresentare una fonte di aggregati di alfa-sinucleina che, in presenza di altri fattori, non vengono rimossi e si estendono ad altre parti del sistema nervoso tramite il nervo vago (che innerva l’intestino). Riconoscono che attualmente non esiste alcuna evidenza di trasmissione lungo il nervo vago – un aspetto indispensabile per la conferma della loro teoria. Pertanto, attualmente non vale la pena di sottoporsi ad appendicectomia per ridurre il rischio di Parkinson. Se la loro teoria venisse confermata, un nuovo approccio terapeutico per la malattia di Parkinson sarebbe la somministrazione di sostanze che bloccano la formazione di aggregati di alfa-sinucleina nella appendice e/o che li rimuovono.
Questi studi retrospettivi arrivano spesso a conclusioni perentorie che però frequentemente non corrispondono alla realtà. È noto che anche in una fase presintomatica il paziente che diverrà parkinsoniano ha un'intestino pigro perchè poco innervato. Al contrario chi ha un transito intestinale accelerato (colon irritabile) ammala meno di Parkinson ma spesso può andare incontro ad appendicite. L'unico disegno sperimentale teoricamente accettabile sarebbe quello che prevede di togliere l'appendice (anche non malata) ad una ampia popolazione e di seguirla nel tempo. Questo studio è ovviamente impossibile. Gianni Pezzoli
Fonte: Killinger BA e coll Science translational Medicine online 31 ottobre 2018