E' possibile guarire il Parkinson con tecniche mentali?
I nuovi concetti di neuroplasticità suggeriscono che si possa migliorare
La mente modifica la struttura del cervello
Quest'anno è uscito il secondo libro controverso del medico e filosofo canadese Norman Doidge: "The Brain's Way of Healing" (=il modo in cui il cervello guarisce). Il primo, uscito 7 anni fa, era intitolato "Il cervello che si modifica" ed esponeva il concetto di neuroplasticità, in base al quale la struttura del cervello si modifica in base a come pensiamo. Questo è un fatto scientificamente accettato e dimostrato. Nel 2000 il premio Nobel per la medicina è stato conferito ad uno scienziato che ha dimostrato che l'apprendimento è associato a cambiamenti strutturali dei circuiti del cervello, determinati dall'attivazione di particolari geni. Nel libro il Dr. Doidge giunge alla conclusione che il concetto attuale che la mente è solo il risultato dell'attività cerebrale è riduttivo e che è anche vero il contrario. Del resto esistono studi che dimostrano che il cervello dei monaci tibetani presenta modifiche strutturali importanti indotte dalle lunge ore di meditazione. Inoltre, sono in corso studi sulla applicazione del concetto di neuroplasticità che stanno dando risultati sorprendenti, come l'uso dei recettori sulla lingua (su cui viene posta una piccola videocamera) per restituire la vista ai ciechi. Del resto noi non vediamo con gli occhi, vediamo con il cervello, che crea le immagini interpretando gli stimoli elettrici provenienti dagli occhi e basta insegnare al cervello che gli stimoli arrivano da un'altra parte.
Il cervello è in grado di autoripararsi?
Dopo l'uscita del primo libro, molte persone hanno scritto al Dr. Doidge, riferendo esperienze di guarigione da malattie ottenute tramite tecniche basate sul pensiero. I casi più significativi sono raccolti nel libro uscito quest'anno, in cui egli espone la conseguenza logica del concetto che l'attività mentale non è solo il prodotto del cervello, ma è anche un agente che ne determina la struttura: se questo è vero, allora il cervello potrebbe autoripararsi. In altre parole, il concetto classico che prevale ancora in medicina ovvero che il cervello è un organo statico che non è in grado di autorigenerarsi e autoripararsi potrebbe non essere vero. Del resto, quali sono le evidenze alla base di questa convinzione? L'insieme delle esperienze cliniche mostrano che, nella maggior parte dei casi, chi ha subito un trauma importante al cervello oppure soffre di una malattia neurodegenerativa non guarisce più. Ma questo non spiega le eccezioni — e ci sono.
Il caso di malattia di Parkinson
Tra i casi esposti nel libro c'è quello di John Pepper, un uomo di 77 anni a cui è stato diagnosticato il Parkinson più di 20 anni fa. Pepper è riuscito a mettere in atto una tecnica mentale con cui ha insegnato al suo corpo come sfruttare circuiti nervosi alternativi, rafforzandoli, per riuscire a camminare e muoversi quasi normalmente, senza ricorrere a farmaci. Sia chiaro: il metodo non lo ha guarito, gli ha solo permesso di migliorare. Nel libro si legge charamente che quando viene distratto, per esempio da una domanda a cui non sa rispondere, e perde la concentrazione, i sintomi ricompaiono subito.
La neuroplasticità è accettata dalla scienza, le tecniche mentali terapeutiche no
Del resto anche il Dr. Doidge, che è psichiatra, afferma che i farmaci servono. La metà dei suoi pazienti è in terapia farmacologica. Semplicemente ritiene che è bene ricorrere anche a tecniche mentali alternative nel tentativo di ridurre i farmaci e non limitarsi a prescrivere solo terapie farmacologiche sintomatiche. Inoltre, mette in guardia, affermando che le tecniche mentali richiedono un grande impegno e la disponibilità a sospendere il giudizio basato sulla cultura attuale "facendo e basta".
Mentre la neuroplasticità è ormai ampiamente dimostrata in laboratorio e accettata dalla scienza, le tecniche mentali a scopo terapeutico menzionate nel libro non lo sono. Queste tecniche sono da considerare terapie sperimentali, i cui effetti devono ancora essere dimostrati in rigorosi studi clinici.