A che punto è la terapia a base di cellule staminali della Fondazione Grigioni?
Intervista al Prof. Pezzoli, Presidente della Fondazione Grigioni e di AIP
JH: Professore, tutti i pazienti coltivano il sogno di guarire dal Parkinson e tanti ripongono le loro speranze nella terapia a base di cellule staminali che sta mettendo a punto la Fondazione. A che punto siamo?
GP: Innanzitutto mettiamo in chiaro un punto fondamentale: le cellule staminali non rappresentano una terapia curativa, sono una terapia correttiva. Studi sui tessuti nervosi di pazienti parkinsoniani che avevano ricevuto trapianti di tessuto fetale 11-16 anni prima hanno documentato non solo che le cellule avevano attecchito e che fornivano una densa innervazione dopaminergica, ma anche che alcune presentavano le tipiche alterazioni dei neuroni malati di Parkinson ovvero i corpi di Lewy, che sono accumuli costituiti soprattutto dalla proteina alfa-sinucleina. In base alle nostre conoscenze attuali, una terapia curativa dovrà necessariamente promuovere la degradazione e lo smaltimento di questa proteina. Noi siamo attivamente impegnati a trovare le cause della malattia, la cui scoperta ci permetterebbe di mettere a punto una terapia curativa, su altri fronti (studio sul microbioma, studio sui gemelli).
Per quanto riguarda lo studio della Fondazione con le cellule staminali, stiamo per completare la estensione dello studio pilota. A breve verrà trattato l’ottavo ed ultimo paziente.
JH: Mi ricordo. Dopo molte difficoltà l’Istituto Superiore di Sanità aveva autorizzato uno studio pilota su 5 pazienti e poi una estensione su altri 3 pazienti. A questo punto avete raccolto informazioni sufficienti per proseguire?
GP: Abbiamo raccolto molte informazioni ed abbiamo imparato moltissimo, per esempio su come preparare e somministrare le cellule staminali.
Il nostro progetto per lo sviluppo di una terapia a base di cellule staminali prevede la raccolta di cellule mesenchimali autologhe (prelevate dal midollo osseo del paziente stesso) per trattare una grave forma di parkinsonismo, la Paralisi Supranucleare Progressiva (PSP).
Nei primi 5 pazienti è stata osservata la formazione di microemboli, che in un caso hanno determinato la comparsa di una sintomatologia neurologica transitoria, che si è risolta. Abbiamo appurato che il rischio era dovuto al fatto che le cellule mesenchimali sono relativamente grosse ed appiccicose e tendono ad aggregarsi. Abbiamo pertanto apportato delle modifiche alla preparazione delle cellule ed alla loro somministrazione e gli altri pazienti trattati non hanno più presentato questo problema. Inoltre, abbiamo documentato che la maggior parte delle cellule arriva al bersaglio comunque, per cui non dobbiamo necessariamente infonderle nelle arterie a breve distanza.
JH: Vi sono molti tipi di cellule staminali. Perché avete scelto proprio quelle mesenchimali se sono così grosse e appiccicose?
GP: Abbiamo scelto le cellule staminali mesenchimali del midollo osseo dopo avere interpellato la Dr.ssa Eva Mezey, medico ricercatore presso l’Istituto Nazionale Americano per le Malattie del Sistema Nervoso e l’Ictus (NINDS). Ci ha riferito di una ricerca in cui hanno riscontrato evidenze inequivocabile che cellule del midollo osseo erano migrate nel cervello ed erano diventate sia cellule gliali (cellule che supportano le cellule responsabili per le funzioni nervose – i neuroni) che neuroni veri e propri. Inoltre, vi sono chiare evidenze che queste cellule sono in grado di rilasciare fattori di crescita che possono aiutare altre cellule in difficoltà. Altri motivi per questa scelta erano che non poneva problemi etici o di approvvigionamento delle cellule, dato che si trattava di cellule del paziente stesso, e quindi poteva diventare una terapia per tutti.
JH: I motivi per ricorrere a cellule staminali del midollo osseo del paziente stesso sono chiari, ma non ho presente le evidenze a supporto del fatto che le cellule staminali mesenchimali possono trasformarsi in cellule nervose
GP: si tratta di reperti autoptici in 4 pazienti di sesso femminile decedute per leucemia alcuni mesi dopo trapianto di midollo osseo da donatore di sesso maschile. Il cromosoma Y, presente solo nei maschi, è stato riscontrati in cellule nervose del cervello.
JH: Un reperto veramente inequivocabile. Ma torniamo allo studio. Che cos’altro avete imparato?
GP: Il reclutamento dei pazienti è stata una lezione da non dimenticare. Più della metà dei pazienti eleggibili in base alle loro caratteristiche cliniche presentavano cellule staminali mesenchimali poco vitali, anch’esse affette dalla malattia degenerativa di base, la PSP, che è una taupatia. In altre parole, le cellule staminali raccolte non crescevano come previsto e non hanno fornito un quantitativo sufficiente per la terapia.
Abbiamo notizia di un altro studio simile che sta per partire in Texas in pazienti con malattia di Parkinson. Per ovviare al problema loro hanno intenzione di somministrare cellule staminali mesenchimali raccolte dal midollo osseo di donatori. Un primo problema sta nel trovare il donatore, il secondo problema è se le cellule attecchiranno ed il terzo nella necessità di una terapia immunosoppressiva cronica, dato che si tratta delle cellule di un’altra persona.
JH: Ed adesso veniamo alla domanda cruciale che tutti i pazienti desiderano farle: la terapia è efficace?
GP: Faccio presente che lo studio pilota era uno studio in aperto il cui scopo principale era di valutare la sicurezza della terapia. Noi abbiamo valutato anche la efficacia, ma è noto che l’effetto placebo, ovvero gli effetti positivi dovuti al convincimento di assumere una terapia efficace, possono influenzare notevolmente la funzione motoria nei pazienti parkinsoniani. Pertanto, non è possibile alcuna affermazione certa. Detto questo, nei pazienti trattati è stata osservata una stabilizzazione della malattia per un anno, un risultato favorevole in un tipo di parkinsonismo che si sviluppa rapidamente e che normalmente peggiora sensibilmente in 6 mesi.
JH: Ed allora? Quali sono i piani futuri?
GP: originariamente avevamo intenzione di chiedere l’autorizzazione per la conduzione di uno studio più ampio di fase III. Tuttavia, il problema delle cellule staminali mesenchimali del midollo osseo difettose rende lo studio non fattibile.
JH: Allora questo approccio terapeutico alla malattia finisce qui?
GP: non ho detto questo. Certo, è una via difficile e questo vale anche per altre malattie neurodegenerative. Per esempio, vi è un esperto italiano nel campo delle cellule staminali che sta dedicando molti sforzi alla messa a punto di una terapia a base di cellule staminali per la SLA, il Dr. Vescovi. Mi risulta che il primo studio pilota sia stato pubblicato cinque anni fa, nel 2012. Alla fine dell’anno scorso, ovvero 4 anni più tardi, un gruppo di esperti a livello internazionale ha pubblicato un documento che riassumeva i risultati di un dibattito internazionale sui problemi connessi alla impostazione di ulteriori studi più ampi, che ancora non erano stati avviati. Si tratta di una terapia molto complessa, i problemi da superare sono molti.
Tuttavia, sono convinto che la terapia a base di cellule staminali sia una via da continuare a perseguire e che in futuro sarà coronato dal successo. Per il momento ci impegniamo a completare la estensione dello studio pilota, a pubblicare i risultati ed a discutere i risultati con la comunità scientifica internazionale.