Rivoluzione del trattamento della malattia di Parkinson: inutile ritardare l'utilizzo di levodopa
Punti salienti della conferenza stampa a Milano, 27 novembre 2014
Relatori:
Prof. G. Pezzoli, Direttore del Centro Parkinson ICP Milano, Presidente dell'AIP Associazione Italiana Parkinsoniani e Presidente della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson
Dr. Roberto Cilia Medico specialista in Neurologia – Centro Parkinson, ICP Milano
Dr.ssa Erica Cassani– Medico specialista in Scienza dell'Alimentazione – Centro Parkinson ICP Milano
La malattia di Parkinson in cifre
- Affligge lo 0,3% della popolazione in generale, 1% della popolazione avente più di 60 anni di età
- In Italia i pazienti sono circa 230.000, nel mondo si stima che siano tra i 12 e 15 milioni
- L'esordio avviene mediamente intorno ai 60 anni, ma nell’1% dei casi prima dei 30 anni, nel 5% dei casi prima dei 40 anni
- Nel 15-20% dei casi vi è una familiarità ovvero una storia di Parkinson in famiglia
La fobia per la levodopa
A distanza di più di 50 anni dalla sua introduzione nella pratica clinica, la levodopa è ancora il farmaco più efficace nel controllo dei sintomi motori della levodopa. Purtroppo, nel lungo termine compaiono complicazioni che ne compromettono in parte l'efficacia ovvero
- le fluttuazioni motorie (riduzione della durata del beneficio dopo ciascuna assunzione di levodopa, con periodi di efficacia detto ON e di inefficacia detto OFF) e
- le discinesie (movimenti involontari).
In passato alcuni studi hanno suggerito che le complicazioni dipendessero dall'entità dell'uso del farmaco, ovvero sia dalle dosi che dalla durata della terapia. Per questo motivo, i neurologi sono restii a prescriverla subito, tendono a rimandare la sua introduzione il più possibile nel tentativo di posticipare il problema di queste complicazioni. In alcuni casi l’attesa è tale che è stata definita addirittura di “fobia” per la levodopa (da Kurlan su Neurology nel 2005).
Del resto, le linee guida sia italiane che internazionali per la gestione della malattia di Parkinson consigliano di non iniziare subito con la levodopa, ma di rimandare, soprattutto nei pazienti giovani, che dovranno essere trattati per molti anni.
Ma è vero che le complicazioni sono dovute solo alla levodopa?
A dire il vero, non vi erano prove certe che le complicazioni fossero dovute alla durata della terapia con levodopa, perché per ottenerle sarebbe stato necessario confrontare un gruppo trattato subito con levodopa con un altro gruppo trattato dopo un lungo periodo di attesa e questo non sarebbe stato etico. Questa idea è maturata dopo l'immissione in commercio dei farmaci dopamino-agonisti e la pubblicazione di grossi studi clinici che suggerivano che l'uso precoce di questi nuovi farmaci potesse ritardare la comparsa di fluttuazioni motorie e discinesie rispetto alla scelta di iniziare con levodopa. Tuttavia, in questi studi i pazienti iniziavano la terapia a base di dopamino-agonisti oppure di levodopa subito dopo aver ricevuto la diagnosi e pertanto era impossibile discernere completamente il ruolo della durata della terapia farmacologica da quello della durata della malattia in sé.
A partire dal 2008 la Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson ha contribuito alla apertura di ambulatori per pazienti parkinsoniani in Ghana sia a scopo umanitario che per motivi di ricerca. I ricercatori della Fondazione si resero presto conto che presso quegli ambulatori disponevano di una casistica unica nel suo genere ovvero di pazienti parkinsoniani non trattati per molti anni – esattamente quello che serviva per effettuare uno studio per verificare se la durata della terapia a base di levodopa era responsabile per le complicazioni a lungo termine oppure no.
Lo studio svolto in Africa, impossibile nel mondo Occidentale
Novantun pazienti africani con diagnosi di malattia di Parkinson ‘idiopatica’ sono stati confrontati a 182 pazienti italiani aventi pari sesso ed età. La casistica presentava caratteristiche simile tranne per
- una maggiore durata media della malattia alla diagnosi negli africani (in media 3,9 anni rispetto a 1,1 anno) ed
- una maggiore durata media della malattia al momento di introduzione della levodopa negli africani (4,2 anni rispetto a 1,1 anni
- tremore più frequente negli africani (nel 75% dei pazienti africani rispetto a 52% dei pazienti italiani
La terapia a base di levodopa è stata iniziata nei pazienti africani partendo da 60 mg una volta al giorno ed aumentando lentamente fino a 100 mg tre volte al giorno 20-30 minuti prima dei pasti o anche di più, se necessario. Alla fine non vi era una differenza importante tra la dose media di levodopa nel gruppo di pazienti africani ed in quello dei pazienti italiani, quando veniva espressa come mg per kg di peso corporeo.
È stata raccolta la storia medica di tutti i pazienti, ma con gli africani l'approccio ha dovuto essere diverso, in quanto loro non considerano il calendario come noi. Si è dovuto ricorrere al ricordo di eventi importanti nella vita del paziente (per es. matrimonio di un figlio o nascita di un nipote) per collocare nel tempo l'esordio della malattia di Parkinson.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un esame neurologico approfondito che comprendeva la valutazione della efficacia della levodopa con annotazione dei punteggi sulla scala internazionale per la valutazione della gravità della malattia di Parkinson UPDRS in OFF (dopo almeno 12 ore dall'ultima somministrazione del medicinale) e in ON (90 minuti dopo) la somministrazione.
I pazienti sono stati seguiti nel tempo, con visite effettuate ogni 2 mesi da un medico locale ed ogni 6 mesi da un neurologo italiano. Ad ogni visita veniva verificata la presenza / assenza di complicazioni motorie.
I risultati:
L'insorgenza delle complicazioni motorie è indipendente dalla durata della terapia a base di levodopa ma strettamente legata alla progressione naturale della malattia.
La durata mediana di malattia (il valore che suddivideva esattamente a metà i pazienti, per cui 50% presentava una durata più lunga e 50% una durata più breve) quando sono comparse le complicazioni motorie era simile nei due gruppi: negli africani 6,0 anni rispetto a 5,5 anni negli italiani per le fluttuazioni motorie; 7,0 vs 6,5 anni per i movimenti involontari. La durata mediana della terapia a base di levodopa invece differiva significativamente nei due gruppi: 0,5 negli africani vs 2 anni negli italiani per le fluttuazioni motorie e 1,0 vs 3 anni per i movimenti involontari.
Durante il follow-up dei pazienti africani, la terapia a base di levodopa è stata corretta per ottimizzare il controllo della funzione motoria. Dopo un follow-up medio di 2,6 anni 10 dei 21 pazienti che non erano mai stati trattati prima (48%) presentavano fluttuazioni motorie e 3 su 21 (14%) presentavano movimenti involontari. Le complicazioni motorie sono comparse molto presto, dopo una durata mediana di terapia con levodopa di soli 6 mesi, mentre la durata mediana della malattia era di 7 anni. In alcuni casi, le fluttuazioni motorie sono comparse addirittura dopo solo qualche giorno, a volte persino dopo solo qualche ora
L'analisi statistica ha stabilito che due fattori erano legati alla comparsa di complicazioni:
- la durata di malattia (il fattore più importante)
- la dose di levodopa per kg di peso corporeo
La durata della terapia a base di levodopa non era legata alla comparsa di complicazioni
Lo studio è stato pubblicato su una rivista internazionale importante, Brain.
Riferimento bibliografico: Cilia R, Akpalu A, Sarto FS et al. The modern pre-levodopa era of Parkinson’s disease: insights into motor complications from sub-Saharan Africa. Brain 2014; 137: 2731-42
“Non rimandare, comincia oggi”
Dato che l'insorgenza delle complicazioni (fluttuazioni motorie, movimenti involontari) non dipende dalla durata della terapia base di levodopa, la strategia di ritardare l'inizio della terapia a base di levodopa non porta a nessun beneficio a lungo termine per il paziente. Deve pertanto essere scoraggiata in quanto fa solo soffrire il paziente che, senza levodopa, ha sintomi motori non controllati. Una terapia a basso dosaggio di levodopa può essere somministrata non appena si fa la diagnosi.
Esperti internazionali, quali il Prof. Anthony Lang di Toronto, hanno già espresso il loro parere. Egli ha intitolato l'editoriale in cui recensisce il lavoro pubblicato sulla rivista “Brain” “Don’t delay, start today” ovvero “non rimandare, comincia oggi”. Un altro esperto, il Prof. Stanley Fahn, ha già aggiunto il lavoro tra quelli da discutere nei corsi che tiene a medici sulla malattia di Parkinson. Il Prof. Niall Quinn di Londra ha scritto: “Sono sempre stato consapevole che i pazienti che hanno tardato la levodopa iniziando con un agonista, hanno poi sviluppato fluttuazioni e discinesie poco dopo l'inizio della levodopa. Speravo che qualcuno potesse dimostrarlo con uno studio come questo”.
Appare quindi evidente che le linee guida per la gestione del Parkinson dovranno essere aggiornate di conseguenza.
Riferimento bibliografico: Lang AE Brain 2014: 137; 2625–2631
Ma la Rivoluzione non finisce qui:
La terapia a base di levodopa deve diventare sostenibile per tutti
Nonostante la levodopa sia tra le terapie più economiche per la malattia di Parkinson, costa comunque da 1 a 2 dollari USA al giorno, a seconda del dosaggio usato. Questa non è una cifra sostenibile da parte dei pazienti che vivono in paesi in via di sviluppo, dove lo stipendio mensile medio si aggira sui 50-80 dollari USA (per chi ha un impiego). Si stima che vi siano al mondo 4-5 milioni di pazienti parkinsoniani in queste condizioni.
Finora la Fondazione Grigioni ha fornito levodopa ai pazienti afferenti agli ambulatori in Africa, ma è evidente che in futuro, man mano che il numero aumenterà, non sarà possibile sostenere economicamente la terapia di tutti, per cui bisogna trovare una soluzione.
La soluzione dalla medicina Ayurvedica
È noto che la levodopa è contenuta nelle fave. I ricercatori della Fondazione Grigioni hanno così incominciato a cercare legumi che potessero contenere levodopa in quantità sufficiente per essere terapeutiche. Hanno scoperto che nella medicina tradizionale indiana, detta medicina ayurvedica, si usa una pianta leguminosa detta Mucuna Pruriens, per curare la malattia di Parkinson. Non solo: sono già stati pubblicati alcuni lavori poco noti, che mostrano che la Mucuna è efficace in modelli animali della malattia di Parkinson ed anche un lavoro preliminare di buona qualità su 8 pazienti, che ha suggerito che la Mucuna possa essere efficace.
La Dr.ssa Cassani e colleghi hanno verificato che la pianta cresce in molti paesi, tra cui, oltre all'India, paesi africani tropicali e del Sud America, e ne hanno raccolto 29 varietà, per verificare il loro contenuto di levodopa e di eventuali sostanze anti-nutrienti ovvero sostanze da non mangiare. Hanno rilevato che la concentrazione di levodopa è simile nelle varie specie (4-6%) e che gli anti-nutrienti sono limitati al tegumento, che quindi deve essere rimosso. La presenza di una concentrazione costante nelle diverse varietà è importante, in quanto permette di dosare la quantità di levodopa assunta in maniera precisa.
Mucuna tostata e macinata che costa solo 12 dollari all'anno
Rimane il problema di come cucinare il seme della Mucuna, affinché il paziente possa assumerlo a scopo terapeutico in tutta sicurezza. Le ricerche hanno condotto alla Bolivia, dove la pianta veniva già assunta da alcuni pazienti parkinsoniani. È stato stabilito che non è opportuno bollire i semi, anche perché in molti paesi l'acqua non è sicura. Il team di ricercatori della Fondazione ha osservato quello che veniva effettuato in Bolivia ed ha messo a punto un metodo standard per la preparazione dei semi a scopo terapeutico. I semi devono essere tostati a fuoco basso finché non “scoppiano” aprendosi, rendendo facile la rimozione del tegumento (in altre parole, la buccia), poi devono essere macinati o pestati con un mortaio e setacciati. Si ottiene così una polvere già pronta per l'assunzione con un po’ di acqua. Il metodo assai semplice, economico e alla portata di tutti. Il sapore della Mucuna è simile a quello delle arachidi.
Prove preliminari in pazienti parkinsoniani suggeriscono che la Mucuna sia efficace sui sintomi della malattia di Parkinson e che la durata dell'effetto sia di circa 4 ore.
È stato calcolato che il costo dei semi per il trattamento di un paziente con malattia di Parkinson si aggira sui 12 dollari all'anno.
Questi semi sono spesso usati come fertilizzante, in quanto sono in grado di trattenere l'azoto arricchendo il terreno, ma non vengono usati spesso nell'alimentazione. Questo presumibilmente è dovuto al fatto che mangiarne in quantità eccessive determina gli effetti collaterali tipici della levodopa, quali nausea, vomito e allucinazioni. Bisogna pertanto stabilire la dose corretta di Mucuna da somministrare a ogni singolo paziente, in base alla concentrazione di levodopa ed al peso corporeo del paziente. In ogni modo non vi è pericolo di accumulo, perché la levodopa ha una emivita (tempo richiesto per il dimezzamento della concentrazione della sostanza nel sangue) pari solo ad un'ora e mezza.
In conclusione, i semi di Mucuna pruriens costano pochissimo e sono disponibili in tutti i paesi tropicali a basso reddito, per cui è stata trovata una fitoterapia accessibile e sostenibile per i pazienti parkinsoniani nei paesi in via sviluppo.