Domande e risposte: ricerca, diagnosi e terapie future
Conoscere per capire, Vimodrone, 12.10.19
Prof. G. Pezzoli – medico neurologo e neurochirurgo, Presidente AIP – Associazione Italiana Parkinsoniani e Presidente della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson
Dr. A. Zecchinelli – medico neurologo, F.F. Direttore del centro Parkinson e Parkinsonismi, ASST Pini-CTO
Dr. Michela Barichella – medico dietologo, responsabile del Servizio di Dietologia, centro Parkinson ASST Pini-CTO
Dr. Danilo De Gaspari - psicoterapeuta, FERB Cernusco sul Naviglio
Rosa Osnato – fisioterapista, coordinatrice in fisioterapia, Istituto Geriatrico “P. Redaelli”, Vimodrone
Prof. L. Zecca: Professore associato di Ricerca Istituto di Tecnologie Biomediche-CNR a Segrate (MI)
Qui di seguito le domande poste dal pubblico e le risposte fornite relative ai progetti di ricerca sostenuti dalla Fondazione Grigioni e su terapie future.
Mio marito ha una diagnosi di Paralisi Supranucleare Progressiva. Ci è stato spiegato che si tratta di una forma atipica di Parkinson per cui attualmente non ci sono terapie specifiche. Ci sono terapie sperimentali per questa patologia?
Pezzoli: E’ vero, attualmente non ci sono terapie specifiche per questa forma di parkinsonismo atipico e neanche per le altre forme ATIPICHE, tra cui si annoverano la demenza fronto-temporale e la degenerazione cortico-basale. Sono patologie più gravi della malattia di Parkinson e sono associate ad una aspettativa di vita più breve. Qualora la patologia coinvolga anche la sostanza nera causando sintomi motori molto simili a quelli della malattia di Parkinson classica, il paziente può rispondere alla levodopa; questo avviene nel 20-30% dei casi.
La Fondazione Grigioni ha contribuito al finanziamento, assieme alla Regione Lombardia, di una sperimentazione sull’uso di cellule staminali in pazienti affetti da Paralisi Supranucleare Progressiva (PSP). Abbiamo deciso di usare cellule staminali prelevate dal midollo osseo del paziente stesso (“autologhe”) per superare problemi etici e pratici e mettere a punto una terapia che potessero essere effettuata in tutti i pazienti, dato che così non vi era il problema di trovare donatori. Le cellule staminali raccolte venivano coltivate in laboratorio in modo da mettere a punto un preparato che potesse essere infuso nelle arterie che irrorano il cervello. Purtroppo abbiamo scoperto che le cellule staminali di tali pazienti sono difettose e non crescono bene, per cui diventa molto difficile allestire un preparato da infondere. A questo punto stiamo progettando un nuovo studio basato sulla somministrazione di cellule staminali da donatore compatibile.
C’era uno studio sul vaccino anti-parkinson e mi hanno detto che non potevo partecipare perché avevo il Parkinson da troppi anni. Perché mi è stata preclusa questa possibilità?
Zecchinelli: i vaccini anti-Parkinson sono terapie sperimentali ancora all’inizio dello sviluppo clinico. I primi studi con lo scopo di dimostrare l’efficacia e la sicurezza di una terapia sperimentale devono necessariamente essere controllati ovvero prevedere l’assegnazione casuale a due gruppi di trattamento, uno con la terapia sperimentale in valutazione e l’altro con un placebo ovvero un preparato dall’aspetto identico, ma senza il principio attivo. Per evitare interferenze di fattori possibilmente confondenti, tra i quali rientra la fase di avanzamento della malattia, vengono reclutati soggetti con caratteristiche simili. Nel caso dei vaccini per gli studi sperimentali è stato deciso di reclutare solo soggetti con malattia in fase iniziale.
Che risultati ha dato lo studio sponsorizzato dalla Fondazione Grigioni sul microbiota?
Barichella: E’ stato ipotizzato che la malattia di Parkinson possa avere origine nell’intestino e che, attraverso un movimento centripeto, possa arrivare al cervello. In base a questa ipotesi germi patogeni che crescono in seguito all’alterazione della flora intestinale possono passare attraverso la mucosa intestinale e scatenare nei centri nervosi dell’intestino il malripiegamento della alfa-sinucleina, con formazione dei tipici corpi di Lewy che si vedono nelle cellule nervose malate di Parkinson. Da lì i corpi di Lewy si propagherebbero lungo il nervo vago (il grosso nervo responsabile per l’innervazione dell’intestino) fino al sistema nervoso centrale, diffondendosi nel cervello.
Lo studio sponsorizzato dalla Fondazione Grigioni, basato sull’esame delle feci di pazienti e controlli sani, ha evidenziato nei pazienti parkinsoniani una disbiosi ovvero una serie di alterazioni della flora batterica intestinale, che è la principale componente del microbiota. Adesso bisogna effettuare ulteriori studi per comprendere come si possa correggere la disbiosi e che effetti apporta la correzione. Il microbiota intestinale può essere modificato cambiando le abitudini alimentari e/ assumendo probiotici. Esistono poi terapie più importanti, come il trapianto di microbiota da donatore sano.
In America si parla di trapianto fecale per il Parkinson. Che cosa è?
Negli Stati Uniti vi sono aziende che raccolgono le feci di donatori sani, le filtrano e preparano capsule per terapia orale. L’ingestione di una capsula permette il trapianto di microbiota sano nell’intestino del paziente. Si spera che questo tipo di terapia possa essere efficace contro la malattia in base all’ipotesi centripeta che ho esposto nella risposta alla domanda precedente. In Italia questa terapia non è ancora disponibile.
In questo periodo si parla di terazosina come farmaco che potrebbe rallentare la progressione della malattia. C’è qualcosa di vero oppure è solo l’ennesima sostanza pubblicizzata in base a dati poco attendibili che ha poche probabilità di successo?
Pezzoli: Terazosina è un farmaco già in commercio da molti anni per la terapia sintomatica dell’ipertrofia prostatica benigna.
Recentemente è stato pubblicato un lavoro su una rivista internazionale importante che induce a pensare che terazosina possa essere un farmaco che rallenta la progressione della malattia di Parkinson. Nell’articolo viene descritta una serie di studi sperimentali nell’animale (topo, ratto, scimmia) in cui il farmaco migliora la funzione motoria dopo l’induzione di una sintomatologia di tipo parkinsoniano tramite lesioni al sistema nervoso centrale. Si tratta di modelli artificiosi, dato che queste specie di animali non si ammalano di Parkinson e nel corso del tempo si sono rivelati assai poco predittivi. Decine di farmaci hanno esercitato effetti simili, ma poi hanno deluso quando sono stati condotti studi clinici. L’esempio più eclatante è la selegilina, con cui è stato effettuato un grande studio detto DATATOP, che ha avuto esito negativo.
La scarsa predittività dei modelli sperimentali di Parkinson è ampiamente nota, per cui i ricercatori cinesi hanno effettuato anche ricerche retroattive in banche dati, analizzando dati disponibili su pazienti parkinsoniani. Prima hanno analizzato i dati desunti da una banca dati cinese. I risultati suggerivano che il farmaco potesse rallentare la progressione della malattia, ma non erano significativi perché solo 7 pazienti parkinsoniani avevano assunto terazosina. Poi hanno analizzato i dati in una banca dati americana, appartenente da una assicurazione ed il risultato suggeriva che terazosina potesse ridurre il rischio di sviluppare la malattia. Tale banca dati non include tutta la popolazione e quindi vi sono riserve su quanto tale risultato possa essere valido per la popolazione generale.
La Fondazione Grigioni possiede una delle più ampie banche dati al mondo, che contiene i dati relativi a 32.00 pazienti seguiti per periodi fino a 20 anni. Attualmente sono in corso analisi per valutare l’attendibilità dei risultati cinesi. I dati preliminari non sono incoraggianti, ma l’analisi è ancora in corso. Qualora i risultati finali fossero favorevoli, la Fondazione potrà avviare uno studio clinico prospettico per valutare seriamente l’efficacia della terazosina come farmaco che potenzialmente rallenta la progressione della malattia.
La ricerca sui gemelli di cui uno malato e l’altro no ha prodotto dei risultati?
Pezzoli: Finora abbiamo raccolto dati su 85 coppie di gemelli discordanti per malattia ovvero di cui uno è malato e l’altro no. Tra breve usciranno i primi risultati pubblicati su una rivista neurologica internazionale Brain. Nell’articolo vengono descritti i risultati ottenuti in 20 coppie di gemelli per quanto riguarda l’esame delle terminali nervose a livello della pelle. E’ emerso che accumuli della proteina alfa-sinucleina, un tipico segno di malattia di Parkinson nelle cellule nervose, sono presenti non solo nel gemello malato, ma, seppure in percentuale minore, anche nel gemello sano – un risultato importante che dimostra chiaramente che non basta la predisposizione genetica alla malattia, che è necessaria l’esposizione anche a fattori ambientali.
E’ tutt’ora in corso l’esame delle feci dei gemelli, che fornirà risultati sul loro microbiota.
DIAGNOSI
Mia mamma ha la malattia di Parkinson. Temo che ci possa essere una familiarità e vorrei sapere se c’è un esame che potrei fare ogni tanto per controllare che non la stia sviluppando anch’io.
Pezzoli: Attualmente un esame di questo tipo non è disponibile, perché la DAT scan usata per la diagnosi di malattia di Parkinson, che permette di quantificare il numero di cellule nervose dopaminergiche rimaste, implica l’uso di un tracciante radioattivo. Pertanto, il suo uso non può essere ripetuto nel tempo in soggetti sani. La mancanza di un esame che permette la diagnosi in soggetti ancora asintomatici rappresenta un grosso problema per la messa a punto di una terapia con lo scopo di prevenire lo sviluppo di malattia di Parkinson conclamata.
Il Prof Zecca qui presente sta lavorando ad un progetto per la diagnosi precoce di malattia di Parkinson tramite risonanza magnetica, una tecnologia basata su campi magnetici che non prevede l’uso di traccianti radioattivi e che pertanto potrebbe essere usato per tenere sotto controllo pazienti potenzialmente a rischio. Questo progetto rappresenta una grande speranza per la prevenzione della malattia.