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Intervista al Dr. Renzo Zanettini sul sospetto da parte di FDA che pramipexolo sia associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco
JH: Dr Zanettini, Lei è tra gli autori di uno dei due studi su cui si basa il sospetto della massima autorità sanitaria americana – FDA – che il trattamento a base del dopamino agonista pramipexolo sia associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco. Come avete avuto l'idea di condurre uno studio sugli effetti del pramipexolo sul cuore?
RZ: A dire il vero, lo studio faceva parte di una iniziativa di farmacovigilanza con lo scopo di valutare il profilo di sicurezza su un altro dopamino agonista, la cabergolina. Noi avevamo chiaramente dimostrato che questo farmaco è associato allo sviluppo di valvulopatia cardiaca (vedi notizia). Lo studio è stato esteso alla intera classe di dopamino agonisti per confrontare il profilo di sicurezza della cabergolina con quella degli altri composti appartenenti alla stessa classe farmacologica. Nell'ambito dello studio è emerso che il rischio di scompenso cardiaco era superiore con pramipexolo rispetto a quanto riscontrato con gli altri dopamino agonisti.
JH: Vi aspettavate questo risultato?
RZ: Assolutamente no. Per questo inizialmente abbiamo pensato che i dati fossero alterati da un altro effetto collaterale del farmaco ovvero la comparsa di edema (ristagno di fluidi senza coinvolgimento del cuore), ma l'aumento del rischio è rimasto anche dopo le opportune correzioni per presenza di edema.
JH: Quale è il meccanismo alla base dell'effetto collaterale?
RZ: Non lo sappiamo. Secondo me, varrebbe la pena di effettuare ulteriori indagini per scoprirlo.
JH: Ciò nonostante, è certo che il pramipexolo è associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco? Dopo tutto, FDA ha fatto un annuncio cauto, ha parlato di sospetti …
RZ: Effettivamente non ne siamo certi. Tuttavia, anche altri ricercatori hanno riscontrato questo aumento dei casi di scompenso cardiaco tra i pazienti trattati con pramipexolo, per cui è probabile.
JH: Allora non bisogna più utilizzare il pramipexolo?
RZ: Non ho detto questo. Non demonizziamo subito un farmaco non appena viene sospettato di avere un effetto collaterale finora sconosciuto. Bisogna considerare il rapporto rischio – beneficio. E' vero, è probabile che pramipexolo causi scompenso cardiaco, ma questo è stato visto in una bassa percentuale dei pazienti trattati (circa l'1%), non in una percentuale elevata, come per esempio la valvulopatia da cabergolina, che si verifica in 1 paziente su 4 (25% circa). Questo basso rischio deve essere considerato alla luce della ottima efficacia del farmaco contro la sintomatologia motoria nel Parkinson.
JH: Allora, come consiglia di usarlo?
RZ: Consiglio di usarlo come prima. Tuttavia, i pazienti cardiopatici dovranno essere monitorizzati con maggiore attenzione, effettuando tutte le indagini adeguate per evidenziare precocemente la eventuale comparsa di segni di scompenso cardiaco. Qualora lo scompenso si dovesse verificare, il farmaco dovrà essere sospeso e le autorità per la farmacovigilanza dovranno essere informate dell'accaduto.
JH: Grazie, Dr Zanettini, per avere dedicato del tempo a chiarirmi le idee.
Neuroimmagini DAT potrebbero avere significato prognostico
Studio in 491 pazienti.
Sono stati sottoposti a neuroimmagini ottenute tramite SPECT ed un tracciante per il rilievo dei trasportatori della dopamina (DAT) 537 soggetti di cui 491 presentavano deficienza di dopamina. I pazienti sono stati seguiti mediamente per 5,5 anni . E' stato stabilita una correlazione tra bassi livelli di DAT basali e la gravità della compromissione motoria, le cadute e l'instabilità posturale, la compromissione cognitiva, la psicosi e la depressione. Il cambiamento osservato nelle neuroimmagini dopo 22 mesi era associato agli esiti motori, cognitivi e comportamentali. Soggetti nel quartile (quarto) inferiore al basale avevano un rischio 3 volte più alto di sviluppare compromissione cognitiva ed un rischio 13 più elevato di psicosi. Gli autori dichiarano che i risultati sono promettenti ma devono essere confermati da altri.
Riconoscimento internazionale per il Progetto Africa
La Federazione Mondiale dei Neurologi e la Movement Disorders Society co-sponsorizzano un corso di formazione in Africa coordinata dalla Fondazione Grigioni
Intervista al Dr Roberto Cilia, medico neurologo presso il Centro Parkinson ICP a Milano, detto “Primario d'Africa” in quanto dirige l'ambulatorio per il Parkinson che la Fondazione Grigioni sponsorizza in Ghana
Intervista al neurologo curante Prof. Gianni Pezzoli
D: Professore, sappiamo che lei è stato il neurologo personale del Cardinal Martini negli ultimi dieci anni. È stata per lei un'esperienza speciale? R: Il Cardinal Martini era una persona speciale, per credenti e non credenti e penso che il suo fascino maggiore sia dipeso proprio dalla sua scelta di rivolgersi così frequentemente al popolo dei non credenti. Io l'ho seguito per dieci anni, a Milano, a Roma e a Gerusalemme, l'ho incontrato decine e decine di volte, ne sono diventato amico. È logico che mi sia difficile separare il racconto clinico dalle emozioni umane che ho provato in questo periodo.
D: Si son dette tante cose sull'evoluzione delle ultime settimane del Cardinale, che sia stata usata una sedazione, quasi un'eutanasia, una “dolce morte”. Lei può aggiungere qualcosa a ciò che è stato detto? I pazienti sono ansiosi di saperlo, abbiamo da loro ricevuto centinaia di domande. R: Non si possono raccontare tutti i dettagli delle ultime settimane del Cardinale senza violarne la privacy. Diciamo che preferirei parlare di una persona nelle condizioni del Cardinal Martini, anche perché tutto sommato l'evoluzione della malattia di Parkinson del Cardinale è stata molto normale, ha avuto ben poco di inusuale.
D: E quindi cosa ci può dire di quello che è accaduto? R: A ottantacinque anni, con 16-17 anni di malattia alle spalle, ci si trova in genere di fronte ad un paziente molto fragile. È raro che ci sia soltanto la malattia di Parkinson, è più frequente che ci siano anche cardiopatie con aritmie cardiache, problematiche pressorie e molto altro. In generale, la terapia è complessa, con assunzioni frequenti. La gestione di un paziente di questo tipo richiede un'organizzazione molto competente e dedicata. Il cardinale ha avuto la fortuna di essere assistito nell'organizzazione generale da Don Damiano Modena, in quella infermieristica da Marco De Lucchi, Marisa Allevi e Michele Paiotta; e per quella medica dal Prof.Rocca, dal Dott.Tosetto. Nella fase finale è intervenuta anche la dottoressa Ianna.
D: Quindi un'organizzazione completa, una specie di ospedale? R: Sì, è stata un'organizzazione di grande efficienza. Purtroppo anche le organizzazioni migliori non possono impedire che la malattia avanzi. Com'è noto, l'evento scatenante è avvenuto verso la metà di agosto, quand'è comparsa una disfagia (incapacità a deglutire) quasi completa.
D: Questo capita a molti pazienti con malattia di Parkinson? R: La disfagia è un sintomo sfavorevole, che si presenta in una fase avanzata della malattia. Nel Cardinale, un fenomeno analogo si era verificato un paio di anni fa e ne aveva ridotto moltissimo il volume della voce. Questi episodi possono essere correlati a microembolizzazioni, spesso legate ad aritmie cardiache o altro.
D: La disfagia può provocare anche gli episodi di dispnea (difficoltà a respirare) che si verificano nei pazienti con malattia di Parkinson? R: Questi episodi sono in realtà generalmente correlati non alla disfagia, ma agli effetti collaterali a lungo termine della terapia farmacologica. Nei malati di Parkinson può presentarsi una sensazione di affanno senza che vi sia una reale difficoltà nella respirazione; il paziente stesso può capire la natura del sintomo osservando le proprie unghie: se le unghie sono rosee, significa che la respirazione avviene in maniera efficace, e quindi l'affanno è solo una sensazione, altrimenti le unghie diventerebbero bluastre.
D: Per trattare la disfagia del Cardinale, avete proposto il posizionamento di un sondino naso-gastrico? R: In generale, questa è la soluzione di prima scelta e anche la più semplice, anche se il sondino non può restare in sede per tantissimo tempo e quindi è giusto, da subito, pensare ad un futuro in cui sarà necessario l'utilizzo di una PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) per soddisfare i fabbisogni nutrizionali. Poi, dovremmo pensare all'aspirazione delle secrezioni, perché purtroppo la disfagia provoca uno scolo continuo di saliva a livello bronchiale.
D: E tutto questo è stato proposto al Cardinale? R: Tutto ciò è stato spiegato, ma tanto più la terapia si è presentata complessa, tanto più il Cardinale si è dimostrato non disposto a seguirla. Ci siamo così trovati di fronte ad un paziente che assumeva per bocca sempre meno alimenti e con modalità particolari (addensati e gelificati). Faceva anche una grandissima fatica ad assumere tutte le compresse che aveva in terapia, la quale ad un certo punto è stata drasticamente semplificata. Da subito, la disfagia ha provocato tosse, soprattutto durante la notte, talvolta incoercibile. Quindi, abbiamo dovuto ricorrere ad una sedazione, prima notturna e poi anche diurna. Il cardinale è sempre stato lucido, fino all'ultimo giorno, quando in seguito ad una ridotta assunzione della terapia per il Parkinson (per incapacità a deglutirla) ed un fenomeno disfagico sempre più invalidante, ha subito una sedazione più consistente da parte della dott.ssa Ianna, che si occupa di terapie palliative.
D:Quindi si può parlare di eutanasia? R: Si può parlare di una morte naturale in cui al paziente è stata ridotta la sofferenza, che inevitabilmente si presenta in queste condizioni patologiche.
D: Qualcuno ha detto che al cardinale è stata concessa una “buona morte”, mentre ad Eluana Englaro no. R: Quella del Cardinale era una situazione in fase rapidamente evolutiva, destinata a concludersi in pochi giorni. Quella di Eluana era invece una condizione stabile. In ogni caso, non voglio entrare nel merito di polemiche che mi sembrano ora abbastanza fuori luogo.
D: Siete stati quindi molto bravi a mantenere in discreto stato le condizioni del Cardinale in questi ultimi anni e fino alla fine. R: Le persone che gli sono state intorno lo hanno seguito certamente con competenza e con amore, l'evoluzione della malattia è stata tutto sommato lieve, basti pensare che il Cardinale ha potuto lavorare fino alla fine di giugno, seppure con molta fatica. Non è sempre così. Ho di lui solo ricordi sereni. Lo vedo ancora quando all'arrivo mi accoglieva felice e quando poi mi salutava, alla fine della visita, ancora più felice e sembrava che dicesse, ai suoi, intorno “bene ora mettiamoci a lavorare”. Mi mancherà molto.
Analisi della voce per diagnosticare il Parkinson
Progetto in cerca di 10.000 volontari.
Un matematico ricercatore alla Massachussetts Institute of Technology (MIT, Istituto per la Tecnologia del Massachusetts, USA), Max Little, è responsabile per un progetto di ricerca che ha come scopo il monitoraggio elettronico delle patologie neurologiche a distanza tramite telefono. Ha messo a punto un programma per il Parkinson basato sulla registrazione della voce che permette di predire il punteggio sulla scala UPDRS con un errore del 6%.
Ora sta lavorando ad un altro programma per la diagnosi di malattia di Parkinson al telefono tramite l'analisi della voce: la diagnosi si basa sul rilevamento di alterazioni della voce, tra cui si annoverano la sua debolezza, il tremore e la mancanza di fiato. Per la messa a punto del programma ha bisogno di analizzare la voce di 10,000 soggetti. Chiede volontari che facciano una telefonata della durata da 3 a 5 minuti. Chi fosse interessato a partecipare può consultare il sito www.parkinsonsvoice.org Almeno per ora, non vi è un numero convenzionato per l'Italia.
Fonte: Max Little – comunicazione al convegno TedGlobal ad Edimburgo.
Italiani dichiarano di avere scoperto una causa della malattia di Parkinson
La riduzione della proteina c-Rel che protegge contro lo stress ossidativo
Sperimentazioni con cellule staminali mesenchimali autologhe nel Parkinson e parkinsonismi. A che punto siamo
Intervista al Prof Gianni Pezzoli, Direttore del Centro Parkinson ICP a Milano e Presidente AIP e della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson
JH: Ho chiesto di intervistarla perché ricercatori coreani hanno appena pubblicato un lavoro in cui hanno ottenuto risultati positivi in pazienti affetti da MSA con le cellule staminali mesenchimali autologhe (MSC). Mi può spiegare esattamente che cosa sono?
GP: Sono cellule che si trovano nel midollo osseo e che sono multipotenti ovvero possono trasformarsi in altri tipi di cellule, tra cui i neuroni. Inoltre, producono fattori di crescita che possono essere utilizzate da altre cellule in difficoltà. Si pensa che costituiscano un meccanismo di riparazione naturale del corpo perché in modelli animali è stato dimostrato che quando vi è una piccola lesione, per es. un piccolo ictus nel cervello, vengono immessi nel sangue e vanno ad accumularsi nella sede della lesione. Sono facili da raccogliere da un piccolo campione bioptico del midollo osseo (si fa un piccola puntura in corrispondenza dell’anca) e da coltivare in laboratorio. Inoltre, essendo del paziente stesso non danno adito a problemi etici e non creano problemi di rigetto.
JH: Allora nelle malattie neurodegenerative MSC potrebbero funzionare sia prendendo il posto dei neuroni che sono venuti a mancare, sia aiutando quelli rimasti, ma ammalati ed in difficoltà
GP: In realtà, noi riteniamo che sia molto più probabile che intervengano con i fattori di crescita, perché anche se si trasformassero in neuroni, non sarebbero in grado di riformare i circuiti nervosi andati perduti.
JH: Mi ricordi anche che cosa è la malattia MSA
GP: MSA sta per Multiple System Atrophy ovvero atrofia multisistemica. Si tratta di un parkinsonismo, una malattia neurodegenerativa che somiglia alla malattia di Parkinson perché i malati presentano molti sintomi parkinsoniani, ma che in realtà è dovuta ad una patologia neurodegenerativa molto più estesa (ecco perché viene chiamata Multisistemica – interessamento di molti sistemi), che coinvolge, per esempio, anche il sistema nervoso autonomo che regola la pressione, la sudorazione e la frequenza cardiaca. È una patologia più grave della malattia di Parkinson che peggiora molto più in fretta. I ricercatori hanno trattato questi malati, perché così era più facile rendersi conto se la terapia rallentava la progressione della malattia oppure no.
JH: Gli autori concludono proprio questo ovvero che la terapia a base di MSC permette di rallentare la progressione della malattia. Ma siamo sicuri che è proprio così?
GP: Bisogna valutare questa affermazione con cautela. Tuttavia, al contrario degli studi precedenti, questo studio è stato condotto in maniera ineccepibile da punto di vista scientifico. Innanzitutto, i pazienti trattati con MSC sono stati confrontati con pazienti simili che venivano trattati con un placebo (infusione di acqua senza le cellule; il flacone era opportunamente ricoperto in modo che non si potesse vedere che la soluzione era limpida e non torbida come quella con MSC) in condizioni di doppia cecità ovvero non solo i pazienti, ma anche i medici che dovevano valutare l’andamento dei pazienti non erano a conoscenza di chi era trattato con che cosa, in modo da rimuovere l’effetto inconscio di eventuali convincimenti personali. Inoltre, i pazienti sono stati valutati non solo clinicamente tramite i punteggi UMSARS, che dipendono anche dalla valutazione personale del medico, ma anche tramite neuroimmagini che forniscono dati più obiettivi. Infine, i pazienti non erano moltissimi (33 in tutto), ma il numero era comunque sufficiente in base a considerazioni statistiche ed i risultati non evidenziano una tendenza, ma un dimezzamento del peggioramento di importanza clinica. In conclusione, i dati sono di buona qualità e convincenti. Naturalmente, la scienza si basa sulla riproducibilità del dato, per cui è importante che questi dati vengano confermati anche da altri centri
JH: Ci sono altri studi in corso con MSC nel Parkinson e/o nei parkinsonismi?
GP: Sono a conoscenza di uno studio in corso presso un ospedale militare cinese in pazienti affetti da malattia di Parkinson. E poi ci sarebbe il nostro studio in un altro parkinsonismo, la Paralisi Supranucleare Progressiva (PSP).
JH: Perché parla al condizionale?
GP: Perché noi abbiamo impostato lo studio e raggiunto un accordo con la Cell Factory (Fabbrica delle Cellule) ben due anni fa, ma non siamo ancora riusciti ad avviarla. Trattandosi di una sperimentazione con le cellule staminali abbiamo dovuto chiedere l'autorizzazione all’Istituto Superiore di Sanità. Abbiamo avuto un incontro preliminare e ci hanno chiesto di dimostrare che MSC utilizzabili fossero presenti nel midollo osseo dei pazienti affetti da PSP. Abbiamo prelevato campioni di midollo osseo di tre pazienti ed abbiamo dimostrato non solo che le MSC c’erano, ma anche che era possibile indurle a proliferare in laboratorio ed a produrre il fattore di crescita BDNF. Ci hanno anche chiesto se vi era il rischio che le MSC, che non sono piccole, potessero formare grumi nel catetere con rischio di formazione di emboli. Abbiamo eseguito prove in laboratorio che hanno escluso questa possibilità. A questo punto abbiamo chiesto una autorizzazione formale, convinti che ci avrebbero dato l'autorizzazione. Invece ci hanno chiesto prove nell'animale che le MSC nell’encefalo non proliferino dando luogo a crescita tumorale. Studi di questo tipo richiedono mesi per la loro esecuzione. In ogni modo, il mese scorso abbiamo completato anche questi studi con successo: i ratti a cui sono state impiantate MSC di origine umana nella parte striata del cervello hanno presentato una crescita normale e l’autopsia non ha documentato alcuna proliferazione anormale.
JH: Allora adesso dovrebbero dare l’autorizzazione. Mi sembra di capire che fossero preoccupati per la sicurezza. Vi era motivo di esserlo?
GP: Chiaramente è una terapia innovativa e bisogna procedere con cautela. Quando abbiamo presentato la domanda vi erano studi in aperto che documentavano la comparsa di piccole lesioni ischemiche dopo la somministrazione della terapia in alcuni pazienti, come è avvenuto anche in quest'ultimo studio, in cui addirittura un paziente ha presentato sintomi neurologici (contratture muscolari) per due giorni. Tuttavia, nel caso specifico PSP è una malattia neurodegenerativa che purtroppo porta al decesso in pochi anni (mediamente 8) e per la quale non vi è alcuna terapia curativa, per cui personalmente ritengo che il rischio sia giustificato.
JH: Oltre ad essere il direttore del Centro Parkinson ICP a Milano Lei è anche il Presidente dell'Associazione Italiana Parkinsoniani. Che cosa dicono i pazienti?
GP: I pazienti non vedono l'ora di sottoporsi alla terapia. Facciamo enormi sforzi per convincerli a non fare viaggi della speranza in paesi come la Cina, dove gli standard sanitari a cui siamo abituati non sono garantiti. In particolare, i tre pazienti sottoposti a prelievo di midollo osseo sono rimasti molto delusi. Il nostro protocollo di studio prevede, oltre alla valutazione dell'andamento di punteggi relativi alla gravità della malattia ed all’acquisizione di neuroimmagini, anche una sofisticata analisi computerizzata del cammino per la valutazione della funzione motoria. Per questo motivo possono essere reclutati solo pazienti in grado di stare in piedi e camminare un piccolo tratto. Ormai sono passati due anni e questi pazienti sono prevedibilmente peggiorati; sono in sedia a rotelle e quindi non rispettano più i criteri di inclusione. A questo punto, avendo già raccolto le loro MSC, volevamo trattarli come “casi compassionevoli” fuori protocollo. Purtroppo il comitato etico ha ritenuto che, non essendo già disponibili dati clinici sulla efficacia e sicurezza della terapia a base di MSC, e non essendoci nemmeno l'autorizzazione alla sperimentazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità, non fosse possibile dare una autorizzazione neanche per questo.
JH: Adesso questi dati ci sono. Professore, grazie per il tempo che mi dedicato. Le auguro che possa ottenere rapidamente l'autorizzazione alla sperimentazione e che confermi i risultati incoraggianti dei coreani.
Scintigrafia del miocardio con 123MIGB utile nella diagnosi di Parkinson
Permette di distinguere tra Parkinson e parkinsonismo
Eltoprazina efficace nel controllo delle discinesie indotte da levodopa
L'agonismo della serotonina funziona
L'azienda Psychogenics ha comunicato alla stampa in data 12 giugno 2012 che i risultati di una sperimentazione clinica dimostrano che la loro molecola eltoprazina è efficace nel controllo delle discinesie indotte da levodopa. Singole dosi di 5 mg e 7.5 mg del farmaco ed un placebo sono stati somministrati, in occasioni separate, assieme ad una dose di levodopa a 22 pazienti parkinsoniani nell'ambito di una sperimentazione clinica randomizzata ed in doppio cieco (con assegnazIone casuale dei trattamenti ed in modo che nessuno, nè il medico, nè il paziente sapessero chi sta prendendo cosa) eseguita in Svezia. I risultati hanno mostrato che eltoprazina è in grado di controllare le discinesie senza influenzare negativamente l'efficacia della levodopa nel controllare la funzione motoria. Inoltre, eltoprazina non ha presentato effetti collaterali importanti.
Eltoprazina è un agonista dei recettori 1A e 1B della serotonina. La sua efficacia conferma l'ipotesi che quando vengono a mancare i neuroni dopaminergici, i neuroni serotoninergici diventano la principale fonte di dopamina, in quanto sono in grado di convertire levodopa a dopamina, ma in maniera poco regolata che richiede un intervento farmacologico.
L'atrofia multisistemica (MSA) è un parkinsonismo ovvero una malattia neurodegenerativa che presenta molti sintomi simili a quelli della malattia di Parkinson, ma che colpisce il sistema nervoso centrale in maniera più ampia e più grave, ed ha una prognosi molto peggiore.
Ricercatori coreani hanno effettuato una sperimentazione randomizzata (assegnazione casuale della terapia), in doppio cieco (né i pazienti, né i ricercatori sapevano chi era trattato con che cosa) controllata con placebo (confronto con infusione di soluzione fisiologica che non conteneva alcuna sostanza attiva) in 33 pazienti affetti da MSA con predominanza dei sintomi dovuto alla compromissione del cervelletto, una parte del cervello responsabile per la coordinazione dei movimenti.
Sedici pazienti sono stati assegnati a terapia a base di cellule staminali mesenchimali autologhe prelevate dal midollo osseo del paziente stesso (MSC). Sono state poi coltivate in laboratorio e reinfuse tramite un catetere inserito nell’arteria femorale e fatto arrivare in alto fino all’arteria vertebrale, una importante arteria del collo, che porta il sangue fino alle arterie alla base del cervello. Gli altri 17 hanno ricevuto il placebo (soluzione fisiologica).
Il gruppo trattato con MSC ha presentato un significativo rallentamento della progressione della malattia misurato in base al punteggio totale e motorio sulla scala UMSARS, all’area interessata dalla malattia nelle neuroimmagini acquisite con PET e risonanza magnetica ed ai test cognitivi. In particolare, dopo 8 mesi l’aumento del punteggio UMSARS (dove un aumento è indice di peggioramento) era pari a meno della metà nei pazienti trattati con MSC ( media ± DS: +5.2 ± 1.5 rispetto a +10.9 ± 1.3 p=0.006).
Gli effetti collaterali sono stati due casi di eruzione cutanea transitoria in ciascun gruppo di trattamento e l’osservazione di piccole lesioni ischemiche (<1 cm) in 4 pazienti trattati con MSC ed in 6 pazienti trattati con il placebo. Le lesioni erano asintomatiche, tranne in un paziente appartenente al gruppo MSC, che presentato distonia (contratture muscolari prolungate ed involontarie) del braccio sinistro, con 3-4 episodi della durata di 1-2 minuti per due giorni; il problema si è risolto spontaneamente. Tali eventi sono stati interpretati come conseguenza della procedura di cateterizzazione arteriosa e non come effetti collaterali della terapia con MSC.
Osservata la propagazione di alfa-sinucleina mal-ripiegata
Un passo avanti nella comprensione dello sviluppo della malattia di Parkinson
Ricercatori della Università di Lund (Svezia) hanno effettuato studi in cervelli di ratto sottoposti ad ingegneria genetica in modo da esprimere la proteina alfa-sinucleina in maniera patologica, in cui hanno impiantato neuroni di ratto giovani e sani. Dopo alcune settimane hanno osservato che la proteina alfa-sinucleina patologica non solo passava attraverso la membrana dei neuroni sani e vi entrava, ma attraeva a sé l'alfa sinucleina normale, inducendola a mal-ripiegarsi, come avviene nei neuroni malati, che presentano tipici accumuli di alfa-sinucleina (corpi di Lewy).
Questo spiega il reperto autoptico di corpi di Lewy nei neuroni fetali impiantati in pazienti parkinsoniani, a distanza di 10-22 anni dall'intervento.
Lo studio del trasferimento dell'alfa-sinucleina potrebbe permettere la messa a punto di terapie innovative che bloccano la propagazione della malattia.
Le malattie neurodegenerative sono malattie da prioni?
Ipotesi pubblicata sulla rivista Science
Il Professor Prusiner, vincitore del premio Nobel per la Medicina nel 1997 per la scoperta dei prioni, in un articolo pubblicato sulla rivista Science, ha avanzato l'ipotesi che i prioni potrebbero essere responsabili non solo della malattia "della mucca pazza", ma anche di malattie neurodenerative molto comuni, come la malattia di Alzheimer e di Parkinson. I prioni sono agenti infettivi costituiti da proteine mal-ripiegate che, una volta entrati nell'organismo, inducono altre proteine a malripiegarsi. Basa la sua ipotesi sul fatto che nelle malattie neurodegenerative compaiono accumuli di proteine anormali. Per esempio, nella malattia di Parkinson compaiono i corpi di Lewy, costituiti da accumuli di una proteina malripiegata, la alfa-sinucleina. Se questa ipotesi viene accreditata, potrà ispirare un approccio innovativo per la messa a punto di una terapia curativa per la malattia di Parkinson ed altre malattie neurodegenerative Prusiner SB Science; 335: 1511-1513
La protezione è potenziata dalla presenta di astrociti
È già stato segnalato che bassi livelli di acido urico rappresentano un fattore di rischio per la malattia di Parkinson.
Esperimenti su colture di cellule nervose dopaminergiche hanno mostrato che l'aggiunta di acido urico alla coltura prima della somministrazione della tossina MPP+ riduceva la mortalità delle cellule del 50% se le cellule erano da sole, mentre bloccava completamente gli effetti tossici di MPP+ se la coltura conteneva anche astrociti - cellule a forma di stella nel sistema nervoso centrale che forniscono supporto strutturale e metabolico alle cellule nervose vere e proprie. Gli astrociti erano un fattore di protezione anche quando l'acido urico endogeno (naturalmente nei neuroni) veniva ridotto aumentando artificialmente la degradazione. Il prossimo passo saranno studi in animali da laboratorio. Il problema da risolvere è come aumentare i livelli di acido urico nel cervello senza aumentarlo altrove nel corpo, perchè se si accumula nelle articolazioni determina la gotta.
L'azienda austriaca AFFIRIS AG ha comunicato che è iniziata una sperimentazione clinica di fase I sul loro vaccino anti-Parkinson, chiamato PD01A. Lo studio viene condotto presso il centro Confraternitaet Privatklinik Josefstadt a Vienna e prevede l'arruolamento di 32 pazienti.
Il vaccino stimola il sistema immunitario dell'organismo a produrre anticorpi contro la proteina alfa-sinucleina. Si pensa che sia l'accumulo di questa proteina a causare la malattia di Parkinson, per cui sarebbe la prima terapia volta a rimuovere le cause della malattia. Per questo motivo la Fondazione Michael J Fox ha deciso di co-finanziare lo sviluppo del prodotto.
Il vaccino è stato messo a punto con la tecnologia AFFITOME che permette di sviluppare terapie immunitarie contro malattie causate da molecole naturalmente presenti nell'organismo. La stessa azienda sta sviluppando anche un vaccino contro la malattia di Alzheimer.
Saranno necessari diversi anni di sperimentazione clinica prima che il vaccino possa essere messo in commercio.
E' uno studio pilota. Bisogna essere dipendenti o pensionati o parenti di primo grado di dipendenti del pubblico impiego
La Direzione Regionale Lombardia di INPS Gestione ex INPDAP assieme agli ICP ha messo a punto un progetto per l'assistenza domiciliare a pazienti affetti da malattia di Parkinson che sono stati dipendenti pubblici ed hanno contribuito alla ex INPDAP oppure che sono loro coniugi conviventi o familiari di primo grado. Altri requisiti sono la residenza nella zona della ASL Milano, l'indicatore ISEE inferiore o uguale a 30.000 euro, il riconoscimento dell'invalidità civile al 100% e le condizioni cliniche da valutare a cura degli specialisti ICP.
Il progetto offre una serie di voucher per l'assistenza alla persona presso il domicilio; per prestazioni di cura domestica; per periodi programmati o improvvise esigenze in sostituzione di chi presta loro assistenza.
Per accedere ai servizi contattare il Centro Parkinson al numero tel. 02-57993535 oppure per email all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.