Noradrenalina e malattia di Parkinson: un meccanismo di compensazione
Intervista al Dr. Ioannis U. Isaias
Medico Neurologo e Ricercatore presso il Dipartimento di Fisiologia Umana dell'Università degli Studi di Milano ed il Centro Parkinson I.C.P. di Milano
JH: Dr. Isaias, è comparsa in letteratura una sua ricerca che dimostra un coinvolgimento dei circuiti nervosi noradrenergici nella malattia di Parkinson. Io non ho mai sentito parlare del neurotrasmettitore "noradrenalina" in relazione alla malattia di Parkinson, ma solo di "dopamina". Come ha avuto l'originale idea di pensare alla noradrenalina?
IUI: Anche questa volta, l’idea mi è stata suggerita dai pazienti e dalla pratica clinica. Molti pazienti con malattia di Parkinson (MdP) tremorigena – un argomento su cui ho svolto altre ricerche (si veda l'intervista sul tremore ) – lamentano la comparsa di tremore in situazioni di stress (e.s. come parlare in pubblico o in ambulatorio), oppure in momenti di freddo intenso o dolore. Tutti questi stimoli attivano il sistema noradrenergico.
JH: Che metodo ha usato per esaminare i circuiti nervosi noradrenergici?
IUI: Abbiamo studiato il locus coeruleus (LC). Il suo nome deriva dal latino ed è così chiamato perché appare come un nucleo azzurro-grigio. Il LC è il principale nucleo noradrenergico del sistema nervoso centrale ed il principale nucleo di sintesi di noradrenalina. Siamo riusciti a studiare l’attività del LC in modo indiretto, ovvero utilizzando SPECT con [123I] FP-CIT (n.d.a. DaTSCAN) per quantificare la densità dei recettori NET (proteine per la ricaptazione della noradrenalina).
JH: DaTSCAN? Io pensavo che quel tracciante servisse solo ad individuare i neuroni dopaminergici in quanto si lega ai trasportatori della dopamina.
IUI: Sì, è vero, questo esame viene utilizzato per quantificare la densità recettoriale dopaminergica (DAT) e quindi un’eventuale denervazione. Tuttavia, questo tracciante può legare anche i NET, seppur con minore affinità. Dato che nel LC la concentrazione dei DAT è molto bassa, il segnale ottenuto corrisponde molto probabilmente ai NET.
Attualmente, non sono purtroppo disponibili traccianti più specifici per studiare il sistema noradrenergico in pazienti. Lo studio del LC è molto complesso anche per la sua posizione anatomica scarsamente accessibile, le sue dimensioni molto piccole e la sua attività fasica (n.d.r. intermittente).
JH: Hanno partecipato a questa ricerca pazienti con malattia di Parkinson in generale oppure sono stati selezionati in qualche modo?
IUI: I pazienti sono stati selezionati molto accuratamente. In particolare, abbiamo escluso pazienti con in terapia farmaci attivi sul sistema noradrenergico o con altre malattie di cui è noto un coinvolgimento del sistema noradrenergico (e.g. depressione).
JH: Che cosa è emerso dall'esame delle neuroimmagini di LC?
IUI: La densità dei recettori NET, e quindi indirettamente la funzionalità del LC, è aumentata in media del 150% in pazienti con malattia di Parkinson in fase iniziale.
JH: Si aspettava un risultato del genere?
IUI: Ne sono rimasto molto sorpreso. In letteratura, vi sono solo pochi lavori sul LC ed il sistema noradrenergico nella malattia di Parkinson e con risultati contrari a quanto da noi dimostrato! Studi anatomopatologici descrivono un danno del LC in fase molto precoce di malattia, che può anche precedere l'inizio dei sintomi motori. Altri studi, di imaging funzionale, dimostrano un danno del LC in pazienti con MdP con depressione e nelle fasi avanzate di malattia.
JH: Come interpreta questi risultati?
IUI: Storicamente la dopamina è stata quasi esclusivamente l'unico oggetto di studio nella malattia di Parkinson da parte dei neurologi. Questo forse è dipeso da diversi eventi: (i) la scoperta anatomopatologica di un danno della substantia nigra in pazienti con MdP, da cui dipendono i sintomi clinicamente obiettivabili; (ii) dai primi modelli animali di MdP, per danno tossico con MPTP del sistema dopaminergico e (iii) dal successivo sviluppo di farmaci dopaminergici (e.g. L-Dopa), molto efficaci sui sintomi motori della MdP.
Numerosi studi di farmacologia e biologia molecolare tuttavia dimostrano un ruolo compensatorio e neuroprotettivo del sistema noradrenergico sul sistema dopaminergico. In effetti, la noradrenalina (i) può legarsi ai recettori dopaminergici attivandoli; (ii) ha funzioni trofiche e determina in modelli animali la sopravvivenza dei neuroni dopaminergici; (iii) aumenta infine la concentrazione di molecole anti-infiammatorie ed inibisce la formazione di sostanze infiammatorie e responsabili di stress ossidativo. Non dimentichiamo che la dopamina e la noradrenalina sono molecole molto simili (n.d.a. la dopamina è convertita in noradrenalina con un solo passaggio enzimatico)!
Con questo studio siamo riusciti a dimostrare, per la prima volta in pazienti con MdP, un aumento dell'attività del LC e quindi del sistema noradrenergico. Ora ci proponiamo di caratterizzare come dopamina e noradrenalina interagiscano nell'insorgenza dei sintomi parkinsoniani; anche da questo potrebbe dipendere la grande diversità fenotipica (n.d.r. dei sintomi) della malattia di Parkinson.
JH: Ecco un esempio di come la scienza procede a compartimenti stagni! Meno male che ha avuto l'idea di controllare quello che avevano pubblicato non solo i neurologi, ma anche altri specialisti! Questa scoperta può avere delle ricadute in clinica?
IUI: È chiaro che questo è uno studio preliminare e che deve essere confermato da ulteriori studi, soprattutto data la scarsa specificità del tracciante utilizzato per il sistema noradrenergico. Nel caso in cui il risultato fosse replicato, si potrebbe pensare di usare farmaci che agiscono sul sistema noradrenergico in pazienti con MdP.
JH: Questi farmaci esistono già o dovrebbero essere sviluppati?
IUI: Esistono in commercio già molti farmaci attivi sul sistema noradrenergico, principalmente antidepressivi; ma ci vuole cautela, molti di questi farmaci hanno anche importanti effetti collaterali.
JH: Allora speriamo proprio che i risultati vengano confermati. Quali ulteriori ricerche pensa di svolgere sull'argomento?
IUI: Ho già in corso uno studio sul sistema noradrenergico in un modello animale di malattia di Parkinson. Stiamo anche cercando di correlare, in alcuni pazienti, l’attività del LC con la presenza e gravità di alcuni sintomi.
JH: Per finire, una curiosità. Ho visto che la ricerca è stata svolta in collaborazione con un centro a Lipsia, oltre che a Milano. So che Lei collabora regolarmente con centri tedeschi. Come mai?
IUI: La Germania investe molto di più in ricerca dell'Italia ed i centri tedeschi hanno a disposizione tecnologie, e soprattutto i traccianti per l'acquisizione delle neuroimmagini, non disponibili in Italia.
In Italia, invece, al Centro Parkinson I.C.P. di Milano, abbiamo una casistica di pazienti veramente unica. Mettendo insieme questi due elementi è possibile svolgere importanti ricerche cliniche.
JH: Ma allora i pazienti italiani devono andare a sottoporsi all'acquisizione di neuroimmagini in Germania?
IUI: Proprio così. Fortunatamente, la Fondazione Grigioni sponsorizza anche questi viaggi! In questo modo possiamo continuare le nostre ricerche ed i pazienti hanno accesso ad esami di avanguardia e sperimentali. A questo proposito, vorrei concludere esprimendo la mia riconoscenza e gratitudine alla Fondazione Grigioni per il grande aiuto nella mia attività di ricerca.
JH: Prima la scoperta di meccanismi alla base del tremore (si veda l’intervista su questo sito ), ora la scoperta del ruolo della noradrenalina – e tutto partendo da semplici osservazioni cliniche che trasforma in domande semplici che nessuno si è posto prima – Dr. Isaias, andando avanti così, Lei rivoluzionerà come consideriamo il Parkinson in clinica.
IUI: Lo spero! La diagnosi di malattia di Parkinson accomuna sintomi differenti tra loro (e.g. rigidità e tremore!) e che si manifestano in modo molto vario in pazienti diversi. Anche la progressione ed evoluzione di questi sintomi è molto variabile. Credo che si debba innanzitutto comprendere cosa determina questa grande variabilità per conoscere e quindi poter curare la malattia di Parkinson.
Infine, vorrei ringraziare i pazienti, sempre disponibili e generosi nel partecipare ai miei progetti di ricerca. Spero di poterli ringraziare con sempre più utili scoperte.