Vitamina D e malattia di Parkinson
Recentemente diverse ricerche si sono concentrate sul ruolo della vitamina D nel Parkinson, spesso con risultati controversi.
Sebbene la fisiopatologia della malattia sia ben caratterizzata, la sua esatta causa rimane ancora sfuggente. La review analizzata mira a chiarire il ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento della malattia di Parkinson e a discutere le strade per la ricerca futura in questo campo. La vitamina D ha effetti diffusi su molti processi biologici nel sistema nervoso centrale. Si tratta di un ormone liposolubile che viene sintetizzato principalmente dalla pelle per azione delle radiazioni ultraviolette; tuttavia, può essere assunta con la dieta. Diversi studi hanno evidenziato livelli più bassi di vitamina D nei pazienti con Parkinson rispetto ai controlli sani. Uno stato di ipovitaminosi D è stato anche correlato al rischio di Parkinson e alla gravità motoria, mentre si sa meno sugli effetti che la vitamina D abbia sulla funzione cognitiva e su sintomi non motori. Nel 2011, Evatt et al. hanno riportato un'elevata prevalenza di insufficienza di vitamina D (concentrazioni inferiori a 30 ng/mL e superiori a 20 ng/mL) e carenza (concentrazioni inferiori a 20 ng/mL), rispettivamente, nel 69,4% e nel 26,1% dei campioni basali raccolti da pazienti con PD arruolati; il declino dei livelli di vitamina D è stato osservato durante il decorso della malattia. Nel 2010, Knekt et al. hanno scoperto che livelli più alti di vitamina D sono stati associati a un minor rischio di sviluppare PD durante un follow-up di 29 anni. Alcune considerazioni dovrebbero essere fatte riguardo al fatto che l'esposizione alla luce solare può differire tra gli individui indipendentemente dalla pertinenza della stessa area geografica. Altri studi hanno evidenziato che livelli più bassi di vitamina D potrebbero essere un predittore di insorgenza di deterioramento cognitivo lieve dopo 48 mesi.
È interessante notare che i pazienti con uno stato carente di vitamina D hanno mostrato una malattia più grave e sintomi peggiori. Ricordiamo inoltre che la vitamina D è correlata al rischio di osteoporosi: la riduzione della massa ossea è molto comune nel Parkinson, che colpisce fino al 91% delle donne e il 61% degli uomini; la riduzione della massa ossea nei pazienti sembra essere causata principalmente dalla riduzione della mobilità attraverso meccanismi simili a quelli osservati in altre malattie neurologiche. Tuttavia, la carenza di vitamina D insieme ad altri fattori endocrini, nutrizionali e iatrogeni possono svolgere un ruolo importante nella deplezione della massa ossea.
Da un punto di vista clinico, un'elevata prevalenza di ipovitaminosi D nei pazienti con Parkinson è stata ampiamente riportata. Sebbene l'impatto dell'ipovitaminosi D sul rischio di PD e la gravità motoria è abbastanza ben chiarita, l'evidenza sull'associazione tra ipovitaminosi D e deterioramento cognitivo è meno evidente. Nonostante i dati contrastanti, un numero crescente di prove supporta i benefici ruolo della vitamina D, giustificando la scelta di integrare tutti i pazienti con livelli non adeguati.
CONSIGLIO NUTRIZIONALE:
La vitamina D è una vitamina liposolubile che viene sintetizzata principalmente dalla pelle per azione dei raggi solari; tuttavia, la vitamina D può essere assunta con l’alimentazione. Agisce in realtà come un ormone che regola vari organi e sistemi ed è importante nel controllo dell’infiammazione e del sistema immunitario. Una sua carenza è stata associata a diversi tipi di malattie come diabete, infarto, malattia di Alzheimer, asma o sclerosi multipla. Le fonti alimentari in cui è maggiormente presente sono alimenti di origine animale: in particolare l’olio di fegato di merluzzo, ma anche pesci grassi come salmone, tonno e sgombro, tuorlo d'uovo, carne, frutta a guscio (mandorle, noci), funghi, fagioli, e verdure a foglia verde.
Spesso l’assunzione dietetica di vitamina D è insufficiente, per questo motivo, molti alimenti oggigiorno sono arricchiti con vitamina D e calcio.
Il fabbisogno giornaliero di vitamina D è di 15 mcg (600 UI) e varia a seconda dell’età. Le dosi possono variare e arrivare fino a 1.000 unità al giorno in presenza di fattori di rischio o deficit. La carenza di vitamina D incide in modo negativo sulla salute delle ossa. La totale carenza causa il rachitismo. Recentemente è stata studiata in relazione al Covid-19,sembra che una carenza di vitamina D aumenti il rischio di sviluppare forme gravi di infezione da Sars-CoV-2.Si stima inoltre che 10 minuti al giorno di esposizione solare di una adeguata superficie corporea siano sufficienti a prevenirne la carenza, ma la quantità prodotta dipende da diversi fattori quali stagione, ora del giorno in cui ci si espone (i raggi del sole sono più efficaci e forti tra le 10 e le 3 del pomeriggio) e latitudine.
Dosare la vitamina D è semplicissimo perché basta un semplice prelievo venoso per capire il livello di partenza; se inferiore ai livelli ottimali (30 nmol/l) è necessaria l’integrazione. Informarsi col medico curante per una supplementazione adeguata.
A cura delle dott.sse: Michela Barichella, Medico Dietologo; Valentina Ferri, Medico Dietologo; Carlotta Bolliri e Serena Caronni, Biologhe Nutrizioniste.
Fonte: Barichella M, Garrì F, Caronni S, Bolliri C, Zocchi L, Macchione MC, Ferri V, Calandrella D, Pezzoli G. Vitamin D Status and Parkinson's Disease. Brain Sci. 2022 Jun 16;12(6):790. doi: 10.3390/brainsci12060790. PMID: 35741675; PMCID: PMC9221008.