Un esame del sangue per diagnosticare il Parkinson: una speranza per il futuro?
Intervista al Prof. Mauro Fasano - Responsabile del Laboratorio di Biochimica e Proteomica, Dipartimento di Biologia strutturale e funzionale, Sezione di Biologia Umana, Università dell'Insubria, Busto Arsizio, Italia
JH: Quando è uscita la notizia che in futuro ci sarà un esame del sangue per diagnosticare il Parkinson, non ho capito su che cosa fosse basata ed ho contattato uno degli autori, il Prof. Lopiano, un Neurologo di Torino che conosco tramite l'AIP. Lui mi ha indirizzato a Lei, dicendomi che attualmente è la persona meglio qualificata per spiegarmi di che cosa si tratta. Professore, che esperienza ha e di che cosa si occupa esattamente?MF: Mi sono laureato in chimica all’Università di Torino e poi, dopo alcuni anni come ricercatore lì, sono diventato Professore di Biochimica e Responsabile di un Laboratorio per la ricerca di base all'Università dell'Insubria nell'anno 2000.
Da quando ero a Torino collaboro con il Professor Lopiano. Allora lavoravamo sulla neuromelanina, il pigmento della sostanza nera. Il laboratorio che coordino ora svolge ricerca di base traslazionale ovvero mirata alla applicazione in clinica sulla malattia di Parkinson in due campi:
- lo studio dei meccanismi alla base della malattia con ricerca di nuovi bersagli per farmaci innovativi
- la ricerca di marcatori per permettano di mettere a punto un esame del sangue a fini diagnostici.
JH: Perché mettere a punto un esame del sangue per diagnosticare il Parkinson? Ormai ci sono le tecniche per immagini per diagnosticarla con certezza.
MF: Sì, è vero, c'è il DAT-scan e le tecniche funzionali. Tuttavia, sono esami costosi e inadatti ad uno screening di massa, che è l'unico tipo di iniziativa che permetterebbe di identificare la malattia in fase precoce, quando è ancora asintomatica dal punto di vista motorio.
JH:E perché fare questo? Tanto, non c'è una cura, la terapia disponibile serve solo quando compaiono i sintomi.
MF: Quando compaiono i sintomi è tardi, già l'80% delle cellule nervose dopaminergiche nella sostanza nera sono morte. Questo potrebbe essere il motivo per cui tante terapie potenzialmente valide, che hanno protetto le cellule nervose in laboratorio, poi non funzionano in clinica nel malato. Nei pazienti in fase precoce potrebbero funzionare e proteggere dalla malattia o almeno ritardarne la comparsa.
Finora una sola molecola ha dimostrato proprietà neuroprotettive nel paziente in clinica, la rasagilina, ed anche in quel caso gli effetti sono modesti (vedere l'intervista al Prof Stocchi sul sogno di una terapia che rallenti la malattia sul sito).
L'esame potrebbe avere anche altre funzioni: aiutare il medico nella diagnosi differenziale con altre malattie e magari anche suddividere i malati di Parkinson in sottotipi (per esempio a progressione rapida con forte rischio di fluttuazioni motorie oppure a progressione lenta) in modo da poter impostare una terapia più mirata.
JH: Va bene, capisco che potrebbe essere utile. Ma come è possibile che si possa diagnosticare la malattia con un esame del sangue? La malattia di Parkinson non è una malattia che interessa solo un'area particolare del cervello, la sostanza nera?
MF: No, ormai si sa che vi è un interessamento sistemico a livello di tutto il corpo. Per esempio si sa che coinvolge anche i gangli nervosi addominali che regolano l'intestino [nota di JH: tanti pazienti parkinsoniani soffrono di stipsi …]. Alcuni globuli bianchi nel sangue sono anch'essi cellule dopaminergiche e vi sono studi che indicano che sono alterate nella malattia di Parkinson. Queste cellule, però, non sono soggette agli stessi stimoli dei neuroni della sostanza nera, per cui risentirebbero meno della malattia.
JH: Non sapevo che i globuli bianchi fossero cellule dopaminergiche! Ma quali sono le alterazioni che intende sfruttare per mettere a punto un esame del sangue?
MF: Non lo so.
JH. Non lo sa!?! Ma allora come pensa di fare?
MF: Intendo ricorrere alla proteomica, che non richiede una ipotesi iniziale. Isolerò i globuli bianchi di un certo tipo (linfociti T, quelli in cui sono state riscontrate le alterazioni in pazienti parkinsoniani), ne estrarrò le proteine e le analizzerò tramite una tecnica molto sensibile basata sulla fluorescenza che permette di limitare la quantità richiesta (20 ml di sangue per paziente). Poi confronterò i risultati relativi ai linfociti T di pazienti ammalati di Parkinson con quelli relativi ai linfociti T di persone sane nella speranza di identificare un numero limitato di differenze sul quale basare l'esame.
JH: E quando intende iniziare?
MF: Ho già iniziato con la collaborazione del Prof Lopiano. Attualmente è in corso una sperimentazione clinica in 4 gruppi di soggetti: pazienti con malattia di Parkinson ad esordio tardivo, pazienti con malattia di Parkinson ad esordio precoce (spesso di origine genetica), pazienti con parkinsonismo atipico e controlli sani. Il numero complessivo di soggetti sarà di 80-90 persone.
JH: Quando saranno disponibili i risultati?
MF: Tra 6-8 mesi circa.
JH: E poi?
MF: Identifico le differenze tra le proteine nei vari gruppi e poi conduco uno studio di validazione con un'altra tecnica a base di anticorpi per verificare i risultati. Se vengono confermati sarei pronto per la messa a punto dell'esame del sangue ovvero di un kit probabilmente di tipo ELISA da sperimentare prima nei pazienti e poi in soggetti apparentemente sani. A questo punto ci vorranno più di un migliaio di soggetti per la validazione del test. Sarà necessario cercare un partner commerciale che è disposto ad investire nelle ricerche, altrimenti dovrò fermarmi per mancanza di fondi.
JH: Grazie per avere chiarito la situazione e per il tempo che mi ha dedicato. Nelle notizie diffuse un paio di settimane fa la situazione era poco chiara ed ho preferito non riportare la notizia piuttosto che riportare una notizia errata. Le auguro di trovare le proteine che servono per la messa a punto del test ed il partner commerciale per proseguire le ricerche.