Il ruolo della genetica della malattia di Parkinson
Con il termine di “esordio giovanile” ci si riferisce a quelle forme di malattia di Parkinson i cui sintomi esordiscono prima dei 50 anni.
Secondo dati recenti, esse coinvolgerebbero circa il 10% dei pazienti totali. In questi casi è possibile supporre una sottostante causa genetica, ossia che vi sia una mutazione in un gene (una porzione codificante del DNA) che sia responsabile della malattia.
Ad oggi sono stati identificati sia geni causativi sia fattori di rischio genetici, ossia mutazioni in geni che non necessariamente si associano allo comparsa della malattia ma che aumentano le probabilità che un soggetto sviluppi la malattia.
Premettendo che di ciascun gene noi possediamo due copie (una trasmesso dalla madre ed una dal padre), le mutazioni, in base alla modalità di trasmissione, possono essere classificate in:
- Autosomiche dominanti: è sufficiente che una sola copia sia alterata affinché si sviluppi la malattia. Tale mutazione può essere de novo (non presente in nessun altro membro della famiglia) oppure può essere stata ereditata da un genitore (sia malato che sano). Tra i principali geni con tale modalità di trasmissione ricordiamo: SNCA (che codifica per alfa-sinucleina), LRRK2, VPS35 e GBA. Quest’ultimo in particolare rappresenta il principale fattore di rischio genetico incrementando da 5 a 10 volte il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson. Varianti in questo gene sono state identificate nel 5-15% dei pazienti e si possono associare a maggiori problematiche cognitive e disautonomiche. Non possiamo non menzionare anche il gene RAB32, recentemente scoperto anche grazie al contributo del nostro Centro. Varianti in questo gene si associano ad una forma di malattia con buona risposta alla terapia farmacologica e con lieve/assente decadimento cognitivo
- Autosomiche recessive: entrambe le copie del gene sono mutate (ereditate da genitori sani, i cosiddetti portatori sani). Queste forme tendono ad esordire molto presto (anche in età pediatrica) e tendono ad avere un decorso tendenzialmente favorevole e con buona risposta alla terapia farmacologica. Tra i principali geni recessivi ricordiamo: PRKN (parkina), DJ1, PINK1 e VPS13C.
Attualmente il riscontro di una mutazione genetica può avere un risvolto prognostico e permette un corretto counseling genetico per quanto riguarda il rischio di ricorrenza nella famiglia.
Una delle principali problematiche riguardo alla genetica nella malattia di Parkinson è che ad oggi non esistono delle formali linee guida. Pertanto è ragionevole affermare che le analisi genetiche vengano riservate a pazienti con età di esordio inferiore a 50 anni, familiarità positiva, di specifiche etnie o con segni radiologici/clinici indicativi di forme genetiche. Tuttavia, il sempre crescente numero di studi farmacologici rivolti alle forme genetiche sicuramente allargherà il numero dei pazienti al quale verranno proposte queste indagini.
La consulenza genetica viene quindi offerta sia in previsione dell’esecuzione di un test genetico che in occasione della restituzione del referto e deve essere mirata sullo specifico gene/variante genica coinvolti e deve tenere in considerazione la specifica familiarità. In un secondo momento è possibile effettuare una consulenza sui familiari di primo grado per valutare il possibile rischio di trasmissione.
Tuttavia, l’esecuzione di test genetici in soggetti asintomatici deve essere valutata con estrema cautela ed i familiari devono essere adeguatamente informati sui pro e contro dell’esecuzione di un test genetico e sulla possibile non conclusività dei risultati ottenuti.
A cura del dr. Luca Magistrelli, Medico Neurologo, responsabile del Servizio di Genetica, Centro Parkinson e Parkinsonismi, ASST Pini-CTO, Milano