La scialorrea
Il termine scialorrea si riferisce ad un eccessivo accumulo di saliva in orofaringe che può determinare scolo di saliva dalla bocca (scialorrea anteriore) o, meno frequentemente, caduta di saliva nella faringe (scialorrea posteriore).
Nei casi più gravi questo secondo fenomeno può dar luogo ad aspirazione di saliva in trachea, con possibilità di polmoniti ab ingestis.
In condizioni normali vi è una secrezione salivare spontanea continua, che ha funzioni di lubrificazione e omeostasi, ed una secrezione riflessa attivata da stimoli gustativi od olfattivi, che ha per lo più funzioni digestive. La saliva è prodotta da tre coppie di ghiandole principali: le parotidi, che sono le più grandi e producono la quantità maggiore di saliva, le sottomandibolari e infine le più piccole, le sottolinguali che hanno la secrezione salivare più esigua. Il secreto salivare delle ghiandole parotidi è di tipo sieroso mentre quello delle ghiandole sottomandibolari e sottolinguali è per lo più di tipo viscoso.
La scialorrea è un disturbo comune nella malattia di Parkinson dove la sua prevalenza è stimata, a seconda degli studi, pari al 70-80% dei casi, ma è frequente anche in altre malattie neurologiche croniche come la paralisi cerebrale infantile, la SLA, l’ictus cerebrale.
È stato dimostrato che la scialorrea nella malattia di Parkinson non è dovuta ad un aumento della produzione salivare bensì al ristagno della saliva nel cavo orale. Infatti studi sulla misurazione della scialorrea hanno dimostrato che la produzione di saliva è addirittura ridotta nei pazienti con Parkinson. Le cause che portano al ristagno di saliva nel Parkinson sono da ricercare nella diminuzione degli atti deglutitori causati dalla bradicinesia orofaringea (in particolare linguale), dall’ipomimia con insufficiente sigillo labiale, propria della malattia, dalla disfagia (difficoltà a deglutire) specie nella fase più avanzata della malattia e in fase off. Un altro contributo alla scialorrea, e in particolare allo scolo di saliva dalla bocca, può derivare dalla postura flessa in avanti del capo che favorisce la perdita di saliva per gravità. Tutti questi fattori si accentuano con il progredire della malattia.
La scialorrea può essere imbarazzante per il paziente e spesso ha un impatto negativo sulla sua qualità della vita, in particolare sugli aspetti sociali.
Ci sono però dei rimedi contro la scialorrea. Il nostro obiettivo è quello di ridurla mantenendo un cavo orale sano e sufficientemente umido evitando la “xerostomia” cioè la bocca asciutta.
Il rimedio più semplice è l’apprendimento, con l’aiuto di un logopedista, di tecniche di comportamento atte a stimolare un’adeguata detersione orale della saliva. Anche l’ottimizzazione della terapia anti parkinsoniana può essere utile a ridurre la scialorrea migliorando la bradicinesia. A volte, infatti, la comparsa della scialorrea può essere proprio un segnale che la terapia farmacologica non è più adeguata.
Possono essere utili anche alcuni farmaci detti anticolinergici, che bloccano il recettore dell’acetilcolina riducendo la produzione di saliva. Purtroppo questi farmaci non bloccano soltanto il recettore dell’acetilcolina delle ghiandole salivari ma anche di altri organi e quindi possono avere degli effetti collaterali fastidiosi. Tra questi il farmaco più studiato è il glicopirronio bromuro che ha una durata prolungata (24 ore) e poiché non passa la barriera ematoencefalica (cioè quella struttura anatomo funzionale che separa i vasi sanguigni dalle cellule cerebrali) non ha effetti collaterali di tipo centrale ma solo periferici e tra questi l’effetto collaterale più frequente è la xerostomia e per questo motivo viene anche utilizzato nella scialorrea. Un altro farmaco molto usato è l’amitriptilina che in realtà è un antidepressivo, ma poiché ha anche un’azione anticolinergica è usato per la scialorrea. Bisogna però ricordare che i farmaci anticolinergici, benché abbiano anche un blando effetto antiparkinsoniano, sono controindicati in alcune malattie come glaucoma, ritenzione urinaria, cardiopatia ischemica instabile e tachicardia.
Ma il trattamento di prima scelta, per efficacia e scarsi effetti collaterali ai dosaggi utilizzati, è la tossina botulinica. La tossina botulinica come dice il nome è una sostanza tossica, prodotta in natura da un batterio, il Clostridium botulinum, che però viene sfruttata in medicina per la sua proprietà di bloccare il rilascio dalle terminazioni nervose parasimpatiche, dell’acetilcolina, sostanza che a livello delle ghiandole salivari stimola la produzione di saliva. Il trattamento consiste nel praticare con un ago molto sottile quattro punture di tossina botulinica nelle ghiandole salivari (2 nelle parotidi e 2 nelle sottomandibolari). La tossina botulinica di tipo A Incobotulinum (Xeomin) è l’unica ad essere autorizzata in Italia con questa indicazione, ed è in grado di ridurre la scialorrea con una latenza variabile (7-15 giorni) per diversi mesi (4-6 mesi). Se il trattamento ha avuto un effetto positivo lo si ripete ogni 4-6 mesi senza che perda di efficacia.
A cura della Dr.ssa Paola Soliveri, Dirigente Medico Neurologo, Responsabile UOS Terapie Complesse per la UOC Centro Parkinson e Parkinsonismi, ASST G.Pini – CTO, Milano.