Sulla via di Santiago de Compostela
Santiago, bellissima città del nord-ovest della Spagna, capoluogo della Galizia, si trova da tempo al centro della attenzione del mondo della cristianità per i continui pellegrinaggi da parte di gente comune proveniente da ogni parte del mondo (Europa, Americhe, Australia, Nuova Zelanda). Santiago, infatti, è la città nella cui Cattedrale riposano le spoglie di San Giacomo (traduzione italiana di Santiago), uno degli apostoli di Gesù; di conseguenza, fin dal Medio Evo, tantissimi pellegrini percorrevano gli attuali itinerari per rendergli omaggio.
Visto il fascino particolare di questi viaggi, dopo essermi documentato opportunamente, ho deciso, zaino in spalla, di partire, accompagnato dallo scetticismo dei familiari e dei colleghi di lavoro, verso quella che è stata un'esperienza notevole e bellissima, e nello stesso tempo un atto di fede ed una sfida con me stesso, un'esperienza che ha cambiato radicalmente il mio modo di pensare, di agire e, per meglio dire, la mia vita stessa.
Perché ho parlato di sfida e di tanto scetticismo intorno a me? Il motivo è semplice; alcuni anni fa (2005), poco prima di partire, mi è stata diagnosticata la Malattia di Parkinson e il mondo mi è crollato addosso; hanno trovato spiegazione in quel momento segni clinici, quali rallentamento motorio con passi corti e strascicati, modico tremore muscolare e marcia con braccia distese in avanti come per mantenere l’equilibrio. Visto che si tratta di una malattia progressiva, inizialmente ho pensato che non sarei più riuscito a fare nulla. Invece, anche nelle situazioni peggiori, c’è necessità di lottare e di non arrendersi alle prime avversità. Una buona attività fisica (jogging, streching o altre discipline di movimento) non nuoce al malato parkinsoniano, anzi, essa è più che necessaria per vincere la rigidità muscolare, tipica della malattia. Per cui, si è rafforzata, dentro di me, l'idea di partire alla volta di Santiago, e, armato di zaino e buona volontà, ho deciso di percorrere il cammino cosiddetto francese, il più classico, oltre che il più conosciuto. Esso è la risultante di un incrocio di due cammini (Roncisvalle e Samport) a livello della cittadina navarra di Puente de la Reina e che da lì prende appunto il nome di “cammino francese”. Si parte dal passo di Roncisvalle e dopo una marcia di circa 800 km, si arriva a Santiago. Il cammino, nella sua fase iniziale, alterna zone pianeggianti ad altre più impegnative, quest'ultime chiamate rompipiernas (spacca gambe). In una giornata si marcia anche per 5–6 ore, alla media di circa 4 km/ora; talvolta si arrivano a percorrere anche oltre 30 km in una giornata.
Alcuni tratti mostrano asperità intense che mettono a dura prova la resistenza e la volontà del pellegrino; altri sono più agevoli e permettono momenti brevi di riposo.
Fin dall'inizio mi sono reso conto di come il cammino sia uno sforzo fisico di una certa levatura, ma, cosa più importante, sia un tipo di “sacrificio” che ha permesso di interrogarmi dentro, alla ricerca del mio mondo interiore e della mia anima; contemporaneamente, esso mi ha permesso una analisi dell'amicizia, della solidarietà, dell'altruismo, per comprenderne il senso più profondo.
Lungo il percorso, infatti, ho trovato, spesso, spazio per intensi momenti di spiritualità. Nel piccolo paese di Granon, per esempio, l'accoglienza da parte del parroco è stata semplicemente straordinaria, così come l'interazione con gentili e cordiali hospitaleros. Nel rifugio, nel campanile quasi millenario (!) della chiesa, su materassini di gomma piuma, ho avuto il privilegio di condividere momenti conviviali di preghiera e riflessione, che hanno reso la serata trascorsa lì un'esperienza straordinaria e significativa.
Arrivati a quasi metà del cammino ho visitato poi la città più affascinante, Burgos, con una splendida cattedrale. Da qui ho attraversato poi le mesetas (tavoliere, in italiano), vasti paesaggi pianeggianti e omogenei che sono un po’ croce e delizia del pellegrino. Le mesetas hanno esercitato su di me un fascino particolare; attraversarle è stata un'emozione incredibile e una suggestione unica. Mi sono ricordato di un verso di Virgilo (Eneide 1° libro), in cui la nave che porta l'eroe troiano in Italia, affonda e rimangono rari nantes in gurgite vasto; pochi esseri che nuotano disperatamente, circondati dalla vastità dell'oceano. Enea e i pochi compagni rimasti sono solo dei puntini insignificanti nell'immensità dell'universo, ma ne fanno parte. Ciò è un mezzo per avvertire la presenza di Dio; noi siamo solo dei minuscoli esseri nella grandezza del creato.
Infine sono arrivati i boschi della Galizia con i suoi alberi centenari ed eucalipti altissimi: il preludio all'arrivo a Santiago. La mia marcia fino a lì è stata regolare, e questo mi ha reso particolarmente lieto, perchè mi sono reso conto come l'allenamento fatto in previsione del viaggio mi sia stato decisamente utile.
Si entra a Santiago dal monte Gozo, che significa gioia, gioia reale che si prova a vedere le guglie della cattedrale da una zona del monte. Emotivamente ho sentito molto l'avvicinarsi della meta: l'emozione è stata cosi forte che è risultato impossibile dormire, o semplicemente riposare durante la notte che ha preceduto l'arrivo in città. Se ognuno che decide di intraprendere il Camino ha una propria storia da raccontare e un diverso vissuto, per ciascuno il viaggio è risultato una scoperta di noi stessi, di rinnovamento spirituale alla ricerca di nuove aspirazioni e nuove emozioni. Un viaggio bellissimo, particolare, e unico dentro la propria spiritualità, alla ricerca della propria anima. Esperienza che induce a riproporsi visto il valore interiore che genera in noi stessi; una “pulizia” dell'anima, cui spesso si sente la necessità. È come un richiamo interiore, forte ed intenso dal quale non si può prescindere.
Ho ancora tanta emozione a ricordare l'arrivo a Santiago, dopo circa un mese di cammino in cui ho alternato fatica e tribolazioni, a momenti di fiducia ed entusiasmo.
A Santiago ho ricevuto la Compostela, ovvero l'attestato di avvenuto pellegrinaggio. Questa la considero come un attestato di vittoria: vittoria della volontà e della determinazione, ma soprattutto la vittoria del cuore, di chi ha desiderato a lungo quel momento.
La soddisfazione e la gioia che mi hanno portato questo viaggio, hanno fatto sì che ripercorressi il pellegrinaggio verso Santiago per altri due anni tornando a casa, ogni volta, arricchito spiritualmente, e, al tempo stesso, soddisfatto di me stesso.
Conclusioni: Il Cammino di Santiago è molto frequentato. Posso dire che è una esperienza unica ed affascinante, da vivere interamente si viene a contatto con un nuovo paese, con la sua cultura e le sue tradizioni. C'è la possibilità di poter imparare o perfezionare lingue straniere oltre a quella del paese che ci ospita; c'è la possibilità di fare volontariato (es. Hospitaleros) e, di conseguenza, rendersi utili. Il cammino è, in conclusione, un mezzo per rivalutare la nostra vita, ad avere più fiducia in noi stessi, ricercare ciò che si pensa di aver perduto.
È la ricerca di spiritualità il motivo principale per cui un pellegrino inizia il suo viaggio; molti si portano dietro l'angoscia, l'impotenza, vari malesseri, legami affettivi, per non parlare di episodi depressivi; ma quando si decide di partire si parte, cercando di lasciare dietro di sè tutti i problemi più o meno nascosti. La preghiera e la fede sono armi affilate per vincere quello che di negativo è dentro di noi. Consiglio di partire soli; la solitudine lascia spazio libero alle riflessioni e a considerazioni sui nostri guai interiori.
Franco Fiasella