Quali sono gli effetti di COVID-19 sui malati di Parkinson in Lombardia?
Due studi importanti pubblicati su pazienti parkinsoniani con Covid
In uno studio preliminare l’Istituto Neurologico C. Besta a Milano ha interpellato 141 pazienti parkinsoniani afferenti all'Istituto e residenti in Lombardia. E' emerso che 12 di essi erano affetti COVID-19 (età media 65,5 anni, durata di malattia 6,3 anni). Le loro caratteristiche sono state confrontate con quelle di 36 pazienti parkinsoniani di controllo di pari età, sesso e durata di malattia, che non avevano contratto l'infezione. I ricercatori hanno riscontrato un peggioramento della sintomatologia parkinsoniana che ha richiesto una correzione della terapia in un terzo dei casi. Il peggioramento era dovuto a meccanismi correlati all’infezione ed all’impatto dell’infezione sulla farmacocinetica della terapia parkinsoniana. Tra i sintomi non motori, particolarmente problematici erano i sintomi urinari e l’affaticamento.
In uno studio più ampio condotto presso il Centro Parkinson presso l'ASST Pini-CTO a Milano, sponsorizzato dalla Fondazione Grigioni, sono stati intervistati 1486 pazienti afferenti al Centro con una diagnosi clinica di malattia di Parkinson e residenti in Lombardia, nonchè 1207 familiari utilizzati come gruppo di controllo. Lo studio ha permesso di rispondere a quattro domande fondamentali:
1) I pazienti affetti da malattia di Parkinson sono a maggior rischio di contrarre l'infezione da virus SARS CoV-2 e di sviluppare COVID-19? La risposta è no: l'indagine ha individuato 105 pazienti parkinsoniani e 92 controlli affetti da COVID-2 documentato da un tampone positivo e presenza di sintomatologia e rilievi radiologici tipici; i tassi di infezione erano pertanto simili (7,1% tra i pazienti e 7,6% tra i controlli)
2) Quali sono i fattori di rischio per COVID-19 nei pazienti parkinsoniani? Lo studio ha individuato 4 fattori di rischio. Due, l'obesità e le patologie respiratorie croniche, sono già conosciuti e presenti in altre casistiche. Il terzo, l'età più giovanile, potrebbe essere il risultato delle misure preventive più aggressive adottate nei pazienti più anziani. Il quarto è di notevole interesse, perchè può essere corretto: è la mancanza di supplementi a base di vitamina D. La vitamina D può ridurre il rischio di infezione in generale tramite una serie di meccanismi, tra cui si annovera la riduzione delle citochine infiammatorie che si innalzano notevolmente nel COVID-19. Da notare che non sono emersi altri fattori di rischio individuati in altre casistiche di pazienti non parkinsoniani ovvero la ipertensione arteriosa ed il fumo, presumibilmente perchè pochi pazienti parkinsoniani presentano queste caratteristiche.
3) Quali sono le manifestazioni cliniche di COVID-19 nei pazienti parkinsoniani? I sintomi più frequenti sono la febbre, la tosse e la congestione nasale. Complessivamente il quadro clinico è sovrapponibile a quello osservato in altre casistiche non parkinsoniane. Le uniche differenze erano un minor tasso di difficoltà respiratoria e un minor tasso di ospedalizzazioni. Si presume che il minor tasso di difficoltà respiratoria sia dovuto al fatto che i pazienti parkinsoniani possono presentare questo sintomo indipendentemente da COVID-19 e quindi hanno avuto difficoltà a considerarlo sicuramente dovuto all'infezione, mentre il minor tasso di ricoveri è presumibilmente dovuto alla propensione di gestire pazienti parkinsoniani a casa.
4) Quale è l'esito di COVID-19 nei pazienti parkinsoniani in generale? La mortalità era sovrapponibile tra i pazienti ed i controlli (rispettivamente 5,7% e 7,6%)
Fonte: Fasano A e coll Movement Disorders online 2 giugno 2020; Cilia R e coll Movement Disorders online 25 maggio 2020
GRAZIE DI CUORE a tutti i pazienti parkinsoniani che hanno partecipato allo studio sponsorizzato dalla Fondazione Grigioni !