Convegno Nazionale AIP: Le terapie infusionali
Al giorno d’oggi, non esistono ancora per la Malattia di Parkinson terapie per frenare la progressione di malattia.
Ovvero che siano in grado di rallentare il processo degenerativo che causa la perdita di neuroni che producono dopamina. Il gold standard terapeutico è quindi ancora sintomatologico ed è rappresentato dalla somministrazione di un precursore della dopamina, la levodopa. Questa terapia, insieme a farmaci di altre classi farmacologiche, come i dopamino-agonisti, garantisce la, almeno parziale, regressione dei sintomi motori e non motori per diverso tempo. Tuttavia successivamente può sopraggiungere la comparsa delle cosiddette fluttuazioni motorie, ossia variazioni dello stato clinico nelle diverse fasi della giornata, la riduzione del tempo di risposta alla terapia ed eventuali effetti collaterali come le discinesie. In questa fase di malattia, è possibile proporre al paziente una delle terapie avanzate, tra le quali al momento sono disponibili in Italia tre tipi diversi di terapie infusionali, accomunate dallo scopo di fornire un flusso continuo di farmaco che permetta la riduzione delle fluttuazioni motorie e non motorie. Le specifiche indicazioni dipendono da diversi fattori tra cui, solo per citarne alcuni, l’età del paziente, la precedente risposta alla terapia dopaminergica, la presenza di un cargiver, la presenza di comorbidità psichiatriche e/o cognitive.
La Duodopa è una associazione di levodopa/carbidopa in formulazione gel, erogata in modo continuo nel digiuno, il primo tratto dell’intestino tenue. Tale terapia è stata introdotta per la prima volta in Svezia nel 1994, ma l’utilizzo in Italia è possibile dal 2005. Il sistema di infusione prevede il posizionamento di un sondino intestinale attraverso la cute dell’addome tramite una procedura detta PEG/PEJ (gastrostomia/digiunostomia endoscopica percutanea). La procedura è minimamente invasiva ed è generalmente preceduta da un test infusionale tramite un sondino naso-gastrico, in modo da valutare la risposta terapeutica prima di procedere all’intervento.
Ci sono poi due tipi di terapie infusionali che vengono somministrate nel sottocute, e sono quindi immediatamente sospendibili e reversibili in caso di insorgenza di eventi avversi.
Il primo farmaco ad essere stato utilizzato in tale formulazione è l’apomorfina, un derivato semisintetico della morfina, che si comporta farmacologicamente come “dopamino-agonista”, ossia interagisce con i recettori dopaminergici, in particolare con il sottotipo recettoriale D2. Questo farmaco può essere somministrato per via sottocutanea sia con singola iniezione che come infusione continua. In questo ultimo caso, l’infusione potrà essere mantenuta, in base alla scelta clinica e alle necessità del paziente, sia nelle ore diurne che nelle ore notturne.
Infine, l’ultima novità tra le terapie infusionali è rappresentata dalla Foslevodopa/Foscarbidopa per infusione sottocutanea, commercializzata in Italia dallo scorso febbraio. Tramite questa terapia, abbiamo il vantaggio di poter effettuare l’infusione del precursore della dopamina per tutta la durata della giornata, compresa la notte. I risultati sui primi pazienti a cui è stata proposta questa terapia nel nostro centro sono fortemente incoraggianti, con una diminuzione degli OFF diurni e notturni e al contempo delle discinesie. Bisognerà poi valutare nel tempo la possibile insorgenza di eventi avversi (in particolare a livello del sito di infusione, come la formazione di noduli).
A cura della Dr.ssa Giulia Lazzeri, UOC Centro Parkinson e Parkinsonismi, ASST G.Pini – CTO, Milano